Macron: «Il progetto di Marine Le Pen è un’uscita dall’Europa non dichiarata. Putin mi parla di messinscena, ma spetta a noi europei dialogare con lui»
Quali sforzi individuali chiederà ai francesi quanto all’ecologia?
«L’ecologia nella quale credo è l’ecologia della pianificazione: si
dà visibilità a tutti, dai cittadini alle grandi imprese. Responsabilità
condivisa, ognuno ha il suo ruolo. Voglio portare questa riforma in
base alla quale i risultati ecologici e sociali del responsabile di
un’impresa entrano nella sua valutazione e remunerazione. E questa è una
riforma che voglio fare non solo a livello francese, ma europeo».
E se la situazione geopolitica peggiora?
«Stiamo vivendo ore drammatiche, e molto dure. Con la prospettiva del 9 maggio (l’anniversario della vittoria sul nazismo, ndr),
la Russia intensificherà i suoi attacchi sull’Est ucraino e dovremo
prendere decisioni. E se decidiamo nuove sanzioni, o se la Russia decide
contro-sanzioni sugli idrocarburi, ma ancora più sul gas, è chiaro che
gli europei dovranno chiedere sforzi a tutte le famiglie. A quel punto
spiegheremo che dovremo abbassare le temperature, ridurre un po’, per
essere meno dipendenti. Non ne vedremo le conseguenze nella primavera o
nell’estate 2022 (abbiamo ricostituito gli stock), ma l’inverno prossimo
questo non accadrà se non avremo più il gas russo. Voglio rassicurarvi,
non è lo scenario nel quale ci troviamo oggi, ma questo scenario può
arrivare».
Bisogna varare un embargo completo sul gas e il petrolio russi?
«È un tema che potrebbe arrivare sul tavolo negoziale, oggi non
ancora. Il carbone e il petrolio entrano già nei negoziati, il gas non
ancora. Conosciamo l’immensa difficoltà che questo provoca. È anche per
questo che da anni mi sentite parlare di sovranità energetica europea.
Ne parlo dal mio discorso alla Sorbona (26 settembre 2017, ndr)».
Se Marine Le Pen dovesse diventare presidente, che succederebbe all’Europa?
«Il progetto difeso da Marine Le Pen è un’uscita dall’Europa non
dichiarata, come accade anche per molti altri temi. Marine continua a
spiegarci che si comporterebbe in modo diverso da Le Pen. Ma Le Pen è
sempre lì».
Perché rappresenterebbe l’uscita della Francia dall’Europa?
«Quel che Marine Le Pen propone è di diminuire il contributo della
Francia all’Europa, rinunciare alla primazia del diritto europeo sul
diritto nazionale, uscire dal mercato europeo dell’energia, stabilire
una preferenza nazionale sui posti di lavoro, ristabilire i controlli
alle frontiere con tanti doganieri quanti ce ne erano nel 1990, è
scritto nel suo programma. Significa uscire dal progetto europeo sul
clima, dalle alleanze con la Germania, e costruire una specie di
alleanza delle nazioni europee, che non sarebbe dunque più l’Unione
europea, e un’alleanza con la Russia. Dunque, sarebbe la fine
dell’Unione europea e la fine dell’asse franco-tedesco. Credo che si
debbano chiamare le cose con il loro nome».
A proposito dell’Ucraina, mercoledì la Russia ha testato un nuovo missile intercontinentale. Quale deve essere la risposta degli occidentali?
«Se mi sono tanto battuto per vie diplomatiche, è perché nel
contesto attuale, ogni giorno in cui la Russia decide di passare al
livello superiore sul piano militare, diplomatico o tattico, riduce le
sue possibilità di un ritorno alla normalità, e riduce la nostra
capacità di costruire una pace durevole. Tenuto conto dei crimini di
guerra adesso accertati, delle scelte fatte dalla Russia, del modo di
condurre la guerra nel Donbass e a Mariupol, tenuto conto delle
provocazioni sul nucleare a partire da fine febbraio e dei test fatti
mercoledì, c’è chiaramente una volontà di escalation da parte della
Russia. La nostra prima responsabilità è di fare tutto il possibile per
aiutare l’Ucraina. Penso che abbiamo tutti avuto ragione nell’aiutare
l’Ucraina, da un punto di vista finanziario e militare. Chi la pensa
come Marine Le Pen non avrebbe offerto alcun aiuto all’Ucraina. In
secondo luogo, dobbiamo aumentare le sanzioni e mantenere la pressione
sulla Russia, ma facendo attenzione a non cedere ad alcuna escalation».
Il rischio oggi è forte quanto a fine febbraio o è aumentato?
«È molto alto. Quel che è successo mercoledì, con il lancio del
missile intercontinentale, è molto grave. I due pericoli sono
l’escalation verticale e quella orizzontale. La prima consiste nel
cambiamento di natura della guerra e nel ricorso ad armi non
convenzionali, da quelle chimiche alle nucleari balistiche. L’escalation
orizzontale è la cobelligeranza dei Paesi alleati o di altre potenze.
Penso che dobbiamo fare di tutto per evitare questo incendio, fermando
la guerra. Ecco perché, accanto alla nostra politica di pressioni e di
sanzioni, dobbiamo continuare a parlare ai nostri partner, nel Golfo, in
India, in Cina, per evitare una disgregazione del mondo. Una frattura
tale che, di fronte alla Russia, esisterebbe un solo campo, formato
dagli Stati Uniti e dall’Europa, mentre altri potrebbero sfilarsi. La
responsabilità dell’Europa — e a questo riguardo i nostri Paesi, la
Francia, l’Italia, la Germania, hanno un ruolo di potenze mediatrici — è
di continuare a parlare agli altri per evitare una frattura del mondo.
Perché porterebbe a un’Europa vassalla, e alla rottura completa della
nostra Europa, alla fine. Anche questo sarebbe un rischio di
escalation».
Lei dice che bisogna aiutare l’Ucraina, anche militarmente. L’Europa deve fornire anche armi pesanti, in particolare carri armati come i Leopard tedeschi?
«Ognuno si prende le sue responsabilità con i suoi equilibri
politici, e non mi immischio nella vita politica degli uni e degli
altri. Siamo molto coordinati. Ho parlato due giorni fa con il
cancelliere Scholz a questo proposito. Consegniamo già forniture
importanti, dai Milan (missili anticarro, ndr) ai Caesar (cannoni, ndr)
a molti altri tipi di armamenti. Dobbiamo continuare su questa strada.
Con sempre una linea rossa, che è quella di non entrare nella
co-belligeranza».
I carri armati sono necessari?
«Alcuni Paesi hanno fatto questa scelta. È un dibattito oggi al
cuore della vita politica tedesca, una scelta che appartiene in modo
sovrano alla Germania e questo va rispettato. Con il cancelliere abbiamo
la stessa strategia: dobbiamo aiutare al massimo gli ucraini, ma
dobbiamo stare attenti a non essere mai cobelligeranti».
Quanto alle prossime sanzioni, il
presidente del Consiglio italiano Mario Draghi prepara l’opinione
pubblica, dicendo che dovremo a un certo punto scegliere tra l’aria condizionata e l’aiutare davvero gli ucraini. La Germania appare più prudente. Pensa che esista il rischio di una divisione tra europei?
«No. Siamo sempre riusciti a costruire un’unità. È normale che
esistano precauzioni, sensibilità differenti. Siamo tutti coscienti che
siamo davanti a scelte importanti. Lo dico con senso di responsabilità,
tanto più che la Francia dipende molto meno dal gas e dagli idrocarburi
russi. Siamo un mercato interconnesso. E io tengo all’Europa. Saremo
solidali. È anche per questo che rispetto il cammino politico e sociale
che esiste nei diversi Paesi. Ma dal primo giorno abbiamo agito in
quanto europei. Con la stessa coscienza delle cose, e la stessa volontà
di fare. Alla fine, troveremo la buona soluzione insieme».
Anche sulle sanzioni, quindi?
«Quando guardo alle cose con un po’ di distacco, dalla crisi del
Covid alla guerra in Ucraina, l’Europa ha saputo agire in modo unitario.
Anche prendendo decisioni che molti commentatori giudicavano
impossibili. Molti, a maggio 2020, non pensavano che con la cancelliera
Merkel saremmo arrivati a decidere una politica di investimenti comune.
Molti ritenevano impossibile fare uscire la banca centrale russa dal
sistema Swift, e pensavano che non saremmo mai riusciti a sanzionare
questi grandi protagonisti. Invece l’abbiamo fatto e lo stiamo facendo.
Perché responsabili politici e opinioni pubbliche sanno che l’unità
europea è il nostro interesse comune. Anche per questo bisogna lottare
per non indebolirlo. Se guardo a Italia, Germania, Francia, vedo che
siamo mano nella mano. Non abbiamo la stessa storia, la stessa
sensibilità, ma ci sono tre dirigenti che si rispettano, che si
apprezzano e che agiranno insieme. Prenderemo le decisioni al momento
opportuno».
Mario Draghi qualche giorno fa ha dichiarato in un’intervista al «Corriere»
di sostenere i suoi sforzi diplomatici con Vladimir Putin, ma ha
aggiunto: «Comincio a pensare che abbiano ragione coloro che dicono: è
inutile che gli parliate, si perde solo tempo». Che cosa ne pensa?
«Dovremo continuare a parlare a Vladimir Putin. Sia io sia Mario non
abbiamo più parlato con lui dopo le scene di Bucha. Siamo rimasti tutti
attoniti, sopraffatti. Semplicemente, ho parlato a Vladimir Putin ogni
volta che Zelensky me l’ha chiesto. Non bisogna dimenticare che il
presidente ucraino vuole questo contatto. È in questo contesto che il
nostro ruolo è utile. E bisognerà preparare la pace. Un giorno ci sarà
un cessate il fuoco. Ci saranno potenze garanti, e noi saremo tra loro.
Dunque penso che si debba essere molto attenti. Lo dico con molta
gravità e, oserei dire, con una forma di peso etico, ma se per
stanchezza scegliamo di non parlargli più, allora lasciamo la
responsabilità di parlare con Vladimir Putin al presidente turco, al
primo ministro indiano, al presidente cinese. E decidiamo che saranno i
non europei a costruire la pace in Europa, il giorno dopo. Dunque, anche
se è molto duro, anche se è talvolta inefficace, bisogna insistere».
Molto duro, lei dice. Al di là della
fatica fisica di questi numerosi colloqui con Vladimir Putin, si ha la
sensazione che lei ne abbia tratto una fatica quasi morale, psicologica.
«Sì. È dura trovarsi davanti alla negazione dei fatti. È dura
passare ore a parlare con il presidente Zelenski, con persone che vivono
l’orrore, un orrore manifesto. Siamo tutti sconvolti. E poi hai davanti
a te qualcuno che nega, che ne ride, che ripete che è solo una
messinscena…».
Questo l’ha segnata?
«Sì, certamente. Già a cominciare da febbraio. Ma resto convinto
che, storicamente, questo è il nostro ruolo. Per me è molto importante,
un’ossessione. Si tratta dell’Europa, e gli europei devono essere
presenti attorno al tavolo per costruire la pace in Europa».
Come se la spiega questa guerra?
«Il presidente Vladimir Putin è il dirigente della Russia. La Storia
spiegherà quel che è successo in questi ultimi anni, perché un uomo
nato a San Pietroburgo, che ha vissuto a lungo in Germania, che ha
passato i primi dieci anni della sua vita politica nazionale a costruire
il ritorno della Russia nel concerto delle nazioni, abbia potuto poi
metodicamente distruggere quel che aveva compiuto. Tornando a sogni
imperiali dell’inizio del XX secolo o dell’Ottocento. Non sto esprimendo
un’opinione, è la realtà davanti ai nostri occhi. Ma bisogna costruire
qualcosa con lui. È un uomo intelligente, non lo contesto. È un uomo
intelligente. E voglio credere che ci sia ancora in lui qualcosa che lo
porti a volere lasciare alla Storia, al suo popolo, qualcos’altro che
non sia il caos e l’ignominia. Questo filo non voglio abbandonarlo. So
che spetta a noi europei costruire la pace sul nostro suolo. Il giorno
del cessate il fuoco dovremo essere presenti al tavolo dei negoziati per
garantire la sicurezza collettiva e la pace nella regione».
Tutti gli europei?
«Sì, certamente. Ognuno con la sua vocazione. I nostri tre Paesi, ma penso che tutta l’Unione europea dovrà essere presente».
CORRIERE.IT
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