“Venghino signori venghino”: adesso Dibba ci dà lezioni di politica (3 ore a 39 euro)
Massimiliano Panarari
«Votantonio, Votantonio!». Da oggi, al prezzo davvero modico di soli 39 euro (offertissima per chi si iscrive entro il 27 aprile), ogni aspirante candidato può «apprendere le strategie più efficaci da usare in campagna elettorale per ottenere il miglior risultato alle elezioni di giugno». Parola di Alessandro Di Battista, guest star di un «corso online di Comunicazione Politica per i candidati alle elezioni amministrative 2022», organizzato dal consulente della materia Marco Venturini, che si alternerà negli insegnamenti all’ex portavoce del M5S e già suo popolarissimo frontman. La corsite in Italia, si sa, è un fenomeno di massa, e una docenza non si nega a nessuno, men che meno a un politico-celebrità “in sonno” che ha infervorato piazze fisiche e virtuali quando la spinta propulsiva del movimentismo grillino sembrava irresistibile.
Il «comunicatore straordinario» Di Battista, come viene definito sul sito che reclamizza il corso, «per la prima volta partecipa come docente» e «condivide la sua esperienza». Piuttosto breve, per la verità, ma nell’epoca in cui la politica pop e mediale ha egemonizzato l’immaginario degli elettori, a contare – e quelle lui ce le ha, eccome – sono soprattutto la visibilità e l’esposizione. Qualcuno lo aveva definito un’«anima in pena», un Amleto del populismo e della Terza Repubblica (nella quale, invece, il suo ex dioscuro e “fratello” di militanza Luigi Di Maio si è perfettamente inserito, indossando vesti istituzionali di rilievo). E, difatti, il «Dibba», mancato ricandidato al Parlamento e mancato ministro, è parso sempre più errabondo e alla ricerca di una qualche strada. Non ideologica, dal momento che quella – il grillismo barricadero e antisistema delle origini – non l’ha mai smarrita. Mentre continua da tempo a vagare in cerca di quella, diciamo così, professionale. E, dunque, eccolo girovagare per quello che un tempo si sarebbe chiamato il Terzo mondo (con una particolare predilezione per i Paesi più antipatizzanti degli Stati Uniti), inviare reportage al Fatto quotidiano – house organ (o, come si sarebbe detto nel tempo lontanissimo della Prima Repubblica, il «giornale di partito») del contismo e dell’antidraghismo –, peregrinare da un talk show all’altro a caccia di un palcoscenico – esigenza costante di chi deve alimentare la propria visibilità politica – e di un pulpito, ma appunto anche per tanti versi di un mestiere. Eterogenesi dei fini e nemesi di chi salì alla ribalta col partito-movimento dell’avversione per la “casta” e del rigetto del professionismo della politica od operazione di costruzione di una propria corrente: chi lo sa? Oppure forse – e per meglio dire – di tutto un po’. Sempre all’insegna di quel marketing di se stesso che, come insegnano i manuali di management correnti, è indispensabile per cogliere le opportunità nel liquidissimo mondo del lavoro dei nostri tempi. E che, in questo caso, si sposa perfettamente con il marketing politico, inducendo Di Battista a reinventarsi pure come formatore per un pubblico da remoto che vuole cimentarsi con le amministrative o, magari, vuole solo gustare il brivido dell’interazione virtuale con la celebrity. Venendo ai contenuti del corso, però – per fare un po’ di critica della ragion comunicativa –, di rivoluzionario (l’attributo che Dibba ha sempre prediletto) non si trova granché. Un programma di materie molto basico, che mescola strumenti della campagna elettorale premoderna (come si compongono uno slogan e, addirittura, un volantino), moderna (come si sta in tv), e postmoderna (l’uso politico di Instagram).
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