Se in Occidente torna l’incubo dei cosacchi

Domenico Quirico

In Occidente i cosacchi rimano sempre perfettamente con la paura, eccome: babau su cavallini mai stanchi e poco strigliati, con le lunghe lance, le maniere selvagge. Facevano paura perfino a Napoleone forse perché vicino a Ghorodnia, mentre avanzava verso Mosca, rischiò di esser catturato. Sarà per quello spavento che li definì «una disgrazia per la specie umana?». È toccato a questi predoni inveterati far da simbolo, in una reciproca sfiducia senza reticenze, di quella paura della Russia che qualcuno forse un po’ troppo meticoloso fa risalire addirittura a mille anni fa. Incubo equestre della calata dei selvaggi slavi verso Occidente. La si definisce «russofobia»: è di voga nei «talk» in questi tempi in cui l’Europa è diventato di nuovo un putiniano continente selvaggio, e le steppe dalle minacce misteriose sembrano dietro l’angolo di Trieste come ai tempi di Taras Bulba. L’ultima versione delle invasioni barbariche fa da contraltare efficace a un’altra storica antipatia occidentale, quella per gli americani.

Allora leggenda antica questi cosacchi: 1812. Per i francesi, indottrinati dai superstiti, pochi, della Beresina, erano quelli che durante la ritirata rubavano le uniformi e gli stivali degli infreddoliti «grognard» e poi lasciavano i proprietari nudi a morire assiderati nella steppa. Eccola già servita la barbara e gelida Russia con guerrieri scuri di pelle come i diavoli, baffoni poco curati, copricapi di pelliccia, cartucciere a tracolla e sciabole ricurve copiate dai tartari. Il talento nel saccheggio mostrato a Kiev e dintorni dai razziatori putiniani avrebbe dunque antiche radici storiche.

Quando i parigini fecero per primi la prova dell’arrivano i cosacchi! La città intera si barricò in casa pronta a essere violata e distrutta da quei fornicatori dell’Apocalisse. Correva voce che il divertimento più praticato dagli energumeni fosse far correre le donne nude pungolandole con la frusta! A furia di credere all’assurdo si rifiutava ormai il verosimile come cibo insipido: si diceva, già nel 1812!, che i cosacchi nei loro bivacchi sul Don e il Dnpro mangiassero i bambini dopo averli arrostiti. Guardate un po’ dove nascono le mitologie più tenaci…

Non accadde nulla. I pochi indisciplinati lo zar Alessandro li fece impiccare. Alla curiosità dei parigini restarono solo poche notazioni, per esempio cavalli e cavalieri nudi che secondo i loro costumi pagani facevano il bagno nella Senna. Sorpresa: gli ufficiali dei cosacchi era gente distintissima, bellicosi e malinconici al tempo stesso. E parlavano come tutta la nobiltà russa un perfetto francese. Oltralpe ciò significa la transustanziazione dalla barbarie alla civiltà. Sartine e nobildonne svelte svelte sostituirono al terribile orso russo il fascinoso buon selvaggio, spuntato dai boschi innevati dell’est. I cosacchi erano forti, stritolavano le mani per l’entusiasmo dell’amicizia, e bevevano senza posa. «Bistro, bistro!» svelti svelti, gridavano nelle locande per sollecitare la pigrizia dei camerieri a servire vini e champagne. È solo leggenda che «bistrot» sia la domestica eredità di quella invasione.

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