I prezzi, il lavoro: l’ansia che agita l’Europa
Oggi la disoccupazione non è più al centro della campagna elettorale francese. Perché è diminuita, come anche in Spagna (dov’era arrivata sopra il 25%) e nel resto dell’Occidente. Sempre più persone lavorano. Però sono povere. Perché i salari sono bassi. E i prezzi sono aumentati. Se Ford in America, e Valletta in Italia, volevano pagare buoni salari affinché i loro operai potessero comprare le automobili che costruivano, che cosa importa alla tecnofinanza internazionale del potere d’acquisto dei lavoratori europei? Per chi traffica in criptovalute, per chi si è rifugiato in un paradiso fiscale, cosa cambia se un parigino di banlieue o un milanese di periferia riesce o no a fare la spesa?
Da trent’anni l’Italia cresce poco e male; ma l’inflazione era sotto controllo. Ora che esplode, il potere d’acquisto dei lavoratori crolla. E la loro rabbia cresce. Ne trarrà vantaggio l’unico partito di opposizione, Fratelli d’Italia. Ma l’esperienza insegna che vincere le elezioni non basta. Occorre avere un programma credibile, per non essere travolti dalla realtà.
Nelle tre ore di duello tv, Macron e Le Pen hanno parlato pochissimo di guerra e moltissimo di prezzi. Il presidente propone il blocco delle tariffe: un provvedimento non semplice in un libero mercato. La rivale vuole abolire l’Iva sui generi di prima necessità: una misura che favorirebbe la grande distribuzione più dei consumatori. Ma almeno se ne discute.
In Italia la situazione è se possibile più grave. I dati sono lì a dimostrarlo. Settemila bar (quasi duemila solo nel Lazio) non hanno riaperto dopo il lockdown: un impoverimento anche per la vita sociale. Tutto il piccolo commercio soffre la concorrenza del commercio elettronico, che ha ben altri strumenti per sottrarsi al fisco nazionale. I redditi calano del 2 per cento in Lombardia, la regione più attiva, che per questo ha pagato il conto più doloroso alle chiusure legate alla pandemia.
Non è difficile immaginare quale sarà la risposta che i partiti italiani daranno in campagna elettorale. La sinistra farà quel che ha sempre fatto: proporrà nuove tasse, ovviamente «solo per i ricchi», spesso già al sicuro appunto nei paradisi fiscali; e finirà per spaventare il ceto medio, senza riconquistare le classi popolari. Anche la destra farà quel che ha sempre fatto: anziché abbassare le tasse, strizzerà l’occhio a chi non le paga.
Servirebbe invece un grande piano per detassare il lavoro, e per rendere più facile agli imprenditori aumentare i salari. Oggi il lavoro è disincentivato: fare un’attività extra significa pagare sino al 70% tra tasse e contributi. Nel 2007 lo slogan di Sarkozy era: chi lavora di più deve poter guadagnare di più. L’altra sera Macron ha fatto una proposta analoga: le aziende che pagano dividendi agli azionisti potranno versare ai dipendenti sino a seimila euro di premio, senza che un solo euro vada allo Stato. Non sarà certo una misura miracolosa. Ma anche in Italia sia il ceto medio impoverito, sia i lavoratori poveri attendono soluzioni per disinnescare la bomba dei prezzi. E non attenderanno in silenzio.
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