Nell’inferno Azovstal l’assalto dei ceceni agli ultimi difensori

I veicoli militari ceceni passano senza essere controllati. Svoltando a destra si abbandona la strada asfaltata e si entra su un terreno fangoso, mentre i botti delle esplosioni si fanno sempre più forti. Le macchine inchiodano di colpo, i soldati ceceni ordinano di scendere e di camminare velocemente ai piedi di un palazzo distrutto, per ripararsi. Le mura sono completamente sfondate. Guardando in alto, all’altezza del primo piano si vedono due con le barbe lunghe e gli abiti militari. Sopra di loro sventola la bandiera cecena. Nel pian terreno del palazzo, visibile dall’esterno dato che le mura sono state sfondate, alcuni soldati sempre con le barbe lunghe hanno appoggiato a terra i kalashnikov e siedono intorno a un falò improvvisato. Tutt’intorno altri miliziani in divisa si muovono nel fango, camminando rapidamente e lungo le pareti per non essere esposti al fuoco. Uno di loro si avvicina e dice: “Qui siamo nell’Azovstal, qui ci siamo noi”. 

L’Azovstal è una vera e propria città nella città. Con un’area di 11 chilometri quadrati è composto da container, magazzini, cunicoli sotterranei, uffici, palazzoni, torri, ciminiere. È un luogo molto difficile da espugnare, non a caso scelto dalla resistenza ucraina come ultimo bastione. Qualche ora prima, però, sono riusciti a sfondare le linee nemiche e a prendere il controllo di una parte di esse, composta da scheletri di palazzoni distrutti che un tempo ospitavano l’amministrazione del complesso. La zona produttiva, ovvero l’acciaieria vera e propria, si trova qualche chilometro più avanti ed è ancora in mano ucraina. 


“Ahmad Sila” grida qualcuno nell’aria. “Allahu Akbar” rispondono i soldati barbuti in coro. Ad avere urlato per primo è un uomo vestito completamente di nero, se non per la mostrina verde raffigurante il volto di Kadyrov che porta sul braccio. Ha in testa un copricapo islamico e una lunga barba grigia. È il comandante Adam Sultanovic Delimhanov, deputato alla Duma e braccio destro di Kadyrov. È qua per dirigere le operazioni militari. Entrato nel palazzone tira fuori una mappa che appoggia su un tavolo improvvisato e spiega i movimenti dei suoi uomini all’interno dell’acciaieria. Racconta che il combattimento della notte scorsa è stato duro e che ha visto i ceceni scontrarsi direttamente con il reggimento Azov. “Nazisti – esclama – siamo venuti qua per eliminare il nazismo dall’Ucraina”. Racconta che gli ucraini sono a poche centinaia di metri ma che ormai sono completamente circondanti e che non hanno scampo. Lascia intendere che è solo questione di tempo, prima o poi cederanno perché sconfitti o perché stremati. A suo dire l’esercito di Kiev ha ancora a disposizione mille uomini operativi tra i quali ci sarebbero dei combattenti stranieri. Interrogato su chi siano, però, non si sbilancia. 

(ansa)

Salendo le scale del palazzone si incontrano altri uomini barbuti. Alcuni in piedi e ben armati, altri invece bivaccano a terra, con le armi e le cinture appoggiate a fianco. Tentano di riposare, mentre accanto a loro i cecchini presidiano le finestre. Dormire è però impossibile. Tutt’intorno non si sente altro che botti. Arrivati all’ultimo piano dell’edificio ci si affaccia sull’Azovstal nella sua completezza. Sulla destra la zona controllata dai ceceni, in cui la notte prima si è combattuto e in cui non resta in piedi nemmeno un palazzo. Tra le macerie camminano dei soldati portando rifornimenti ai combattenti: sacchi di cibo e bocce d’acqua. Volgendo lo sguardo a sinistra si vede il complesso industriale in cui ci sono gli ucraini. Le torri dell’acciaieria sono costantemente sotto il fuoco, in solo pochi minuti si vedono ripetutamente alzarsi polveroni di nube nera, segno dell’avvenuto bombardamento. Oltre ai botti si sentono i fischi dei missili e gli spari delle mitragliatrici, segno che i due eserciti si stanno scontrando uomo a uomo. Scendendo di nuovo si sale rapidamente in macchina e si riparte. Prima di andare, un miliziano spiega che nell’Azovstal i ceceni non sono soli ma che sono affiancati da russi e filorussi. Ma è evidente che sono loro ad avere un peso maggiore. Un missile cade a poche centinaia di metri di distanza con una forte esplosione, bisogna quindi andare. Partendo il saluto di chi rimane al fronte è sempre lo stesso: “Ahmad Sila Allahu Akbar”.

REP.IT

Rating 3.00 out of 5

Pages: 1 2


No Comments so far.

Leave a Reply

Marquee Powered By Know How Media.