25 aprile, il rasoio di Mattarella
di Stefano Folli
Alla vigilia del 25 aprile il presidente Mattarella ha spazzato via le ambiguità che erano calate sulla festa della Liberazione fino a snaturarne il senso. In quel giorno, ha detto, si evoca, sì, la pace, ma quella che deriva dal non essersi arresi “di fronte alla prepotenza”. E si celebra il coraggio: quello che ci vuole per “interrompere le ostilità e ritirare le forze d’invasione”. Raramente nel corso del primo mandato il capo dello Stato aveva usato un linguaggio così netto, persino perentorio. Ora invece ha pronunciato parole fin troppo chiare che colpiscono senza incertezze quanti stanno cercando di trasformare il 25 aprile in un tripudio di ideologismi. Si badi: non di ideologie, che sono ormai spente, ma della loro degenerazione appannata.
Mattarella è intervenuto perché la ricorrenza coincide con una delle due
date fondanti della Repubblica. L’altra è il 2 giugno e si capisce
perché. Tuttavia il 25 aprile ricorda, come è noto, la fine della
guerra, la liberazione dell’Italia del Nord, la sconfitta nazifascista.
Trasformarla – nel segno dell’ideologismo – in una generica e ipocrita
festa della pace, negando il paragone con l’Ucraina in quanto
l’invasione russa non può essere messa sul piano dell’occupazione
tedesca nel 1944-‘45, servirà certo a giustificare l’autocrate russo, ma
è un’offesa ai patrioti caduti. Tra le righe il capo dello Stato
ricorda che costoro morirono per la libertà essendo di differenti fedi
politiche: comunisti, azionisti, cattolici, liberali. 77 anni dopo,
dimenticarlo per ammiccare alla guerra di Putin significa delegittimare
il momento fondativo della Repubblica.
Mattarella aveva quindi il dovere di ristabilire la cornice storica
nella quale si è sviluppata la nostra democrazia all’interno
dell’alleanza occidentale. È evidente che tutte le opinioni sono
legittime, anche quelle che tendono a confondere le coscienze, ma non è
lecito inquinare la memoria per alimentare la polemica quotidiana. Forse
non è un caso se due giorni prima del presidente della Repubblica sia
intervenuta la senatrice a vita Liliana Segre: anche da
lei, la più autorizzata a tracciare una linea discriminante tra la
realtà storica e la malafede, sono venute parole severe. Del resto, il
25 aprile è una data a lungo contestata dall’estrema destra nostalgica e
nemica della Repubblica; è davvero un paradosso che oggi sia
strumentalizzata con i medesimi argomenti da chi detesta l’occidente e
pretende di collocarsi a sinistra.
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