Nella storia l’origine delle ossessioni di Mosca
Tutto pur di scongiurare quello che dopo la fine del comunismo i governanti russi avvertono come il pericolo sospeso sul capo del loro Stato per effetto della sua stessa vicenda originaria: dopo essere stati abbandonati da tutta l’Asia sovietica di un tempo, vedersi abbandonati anche dall’Ucraina e dalla Bielorussia e in questo modo ridotti alla Moscovia del XVI secolo con alle spalle solo l’enorme e spopolata Siberia confinante per oltre 4 mila chilometri con la Cina. Una prospettiva tutt’altro che rassicurante.
È per l’appunto la natura geograficamente e storicamente composita e «dispersa» dello Stato russo di cui ho appena detto, il suo carattere assai più «imperiale» che «nazionale», è questo dato che spiega il fascino che sempre ha esercitato sulla sua società, ma in specie sulle sue classi colte e politiche, il richiamo all’universalità. Il fascino, cioè, di ideologie che affidavano alla Russia missioni mondiali a sfondo di salvezza: vuoi che si trattasse dell’idea di Mosca incarnazione della Terza Roma consacrata dall’ortodossia, vuoi, più vicino a noi, che si trattasse dell’Internazionale comunista incaricata di portare la rivoluzione ai quattro angoli della Terra, vuoi della missione che oggi alcuni circoli intellettuali vicini a Putin assegnano alla Russia di rappresentare la sfida della Tradizione alla Modernità nichilistica nelle cui spire mortali si starebbe dibattendo l’Occidente. È il destino degli imperi (e delle entità che aspirano esserlo): sospesi tra autoreferenzialità e universalismo non riescono a sfuggire alla tentazione di raffigurarsi come portatori elettivi di un’Idea con l’iniziale maiuscola.
Risulta ovvia da quanto fin qui detto la difficoltà strutturale per tutto il resto d’Europa di avere a che fare con la Russia. Per tutto il resto di un’Europa, tra l’altro, agli occhi della quale l’idea di potenza e di dominio da cui Mosca non sa né forse può distaccarsi, rappresenta ormai – almeno nell’ambito del suo continente – un residuo del passato quasi incomprensibile e però un residuo fin troppo presente, incombente. Di fronte al quale non si vede che altra prospettiva politica sia possibile adottare se non quella di un sostanziale contenimento. Che per essere tale, cioè efficace, non può che essere sostenuto, tuttavia, da un adeguato strumento militare. È verosimile però che oggi l’Europa possa attuare un tale contenimento e disporre di un tale strumento militare a prescindere dalla Nato, cioè dagli Stati Uniti? Questa è la domanda chiave. E se amassero ragionare sui dati della realtà invece che sciorinare i loro buoni sentimenti (che peraltro sono anche i nostri, glielo assicuriamo) è a questa domanda che i pacifisti dovrebbero cercare di rispondere.
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