Primi bersagli colpiti nella cyber-guerra. Il rischio escalation contro Usa, Ue e Nato

Gian Micalessin

La tanto temuta escalation sembra già iniziata. Ma anziché manifestarsi nel settore convenzionale del conflitto sta prendendo forma su quello della guerra cibernetica. Non sarebbe una novità. L’inizio fu Stuxnet, il cybervirus sviluppato da Stati Uniti ed Israele responsabile, nel 2010, della distruzione di centinaia di centrifughe impiegate dall’Iran per l’arricchimento dell’uranio. Da allora la guerra cibernetica si è fatta molto più aggressiva e le operazioni messe a segno dal Mossad hanno causato non solo danni, ma anche vittime all’interno di strutture nucleari e missilistiche di Teheran. Ora però nel mirino c’è la Russia.

E Mosca, accusata in passato di penetrare le difese cibernetiche occidentali rischia di trasformarsi da protagonista in bersaglio. Al centro dei sospetti vi sono gli incendi sviluppatisi tra giovedì e venerdì all’interno di tre impianti industriali russi collegati all’industria militare. Il primo, costato la vita ad almeno sei persone, è divampato giovedì dentro l’Istituto di Difesa aerospaziale di Tver specializzato nello sviluppo dei missili Iskander. Poche ore dopo le fiamme hanno avvolto gli impianti chimici di Dmitrievsky. Venerdì il fuoco ha colpito il complesso di Korolev, cuore dell’industria spaziale e missilistica. Quei tre incidenti nel giro di sole 48 difficilmente possono venir attribuiti al caso. Anche perché una delle principali preoccupazioni di Stati Uniti, Nato ed Europa è stato il finanziamento e lo sviluppo di una struttura cibernetica ucraina capace di misurarsi con quella russa. Gli americani, attivi da anni, ne hanno delegato lo sviluppo alla società Dai Global, un impresa del Maryland teoricamente privata, ma finanziata congiuntamente da Usaid (Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale) e dal Dipartimento per lo Sviluppo Internazionale del Regno Unito. A garantire la formazione di una autentica struttura di cyber difesa si sono aggiunti i finanziamenti garantiti dal Dipartimento di Stato Usa grazie ad leggi come il Department of Defense Appropriations Act e l’Ukraine Security Assistance approvate dal Congresso statunitense. E a questi fondi si sono aggiunti lo scorso dicembre i 30 milioni di euro messi a disposizione dal Consiglio europeo attraverso il cosiddetto Fondo europeo per la pace. I finanziamenti europei, assieme alla formazione condotta dalla Dai Global, hanno contribuito alla nascita del Cut (Cyber Unit Technologies) la struttura cyber-militare ucraina dotata di capacità sia difensive che offensive. Una struttura con sede, guarda caso, in quelle stessa Estonia dove la Nato ha stabilito il suo Centro di difesa informatica.

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