“Phasing out”: la nuova strategia europea contro l’energia russa

Andrea Muratore

Nessun embargo totale, ma un piano graduale di distacco dei mix energetici europei dalla dipendenza dalla Russia: la via già tracciata sul carbone, con la graduale sostituzione delle forniture australiane a quelle russe, potrebbe essere la strategia segnata anche sul fronte del petrolio e, in prospettiva, del gas naturale per rompere la trappola della dipendenza da Mosca.

Parola d’ordine: “phasing out”. Ovvero “eliminazione graduale”. Questo il termine tecnico con cui, in economia dell’energia, si analizza la possibilità di sostituire una fonte con un’altra in un mix energetico. Tradizionalmente, il phasing out è la fase con cui un sistema economico adotta politiche volte a gestire la fase di transizione da un combustibile a un altro. Il caso più celebre è quello per il riequilibrio dei mix dopo la graduale dismissione di combustibili come il carbone o di fonti come il nucleare. Ma in questo caso il termine va inteso con un’accezione diversa: a parità di fonte, si intende infatti la sostituzione di un tipo di importazione, quella dalla Russia, con altre giudicate politicamente più affidabili.

Questo appare ancora più urgente in una fase in cui l’Ue si prepara alla stretta finale sulle nuove sanzioni anti-russe che potrebbero essere approvate alla fine della prossima settimana. Misure che includeranno il petrolio russo. Uno stop all’import da subito è praticamente impossibile. Le ipotesi di lavoro si apprende, sono più di una. La prima è adottare per il petrolio lo stessa schema usato per il carbone, ovvero una eliminazione graduale (phasing out) dell’import che verrebbe azzerato solo tra qualche mese. L’altra via è l’introduzione di un ‘price cap’ al petrolio: l’obiettivo, in questo caso, sarebbe evitare che il Cremlino faccia più cassa, finanziando la sua guerra. Le complessità legate a manovre di questo secondo tipo per motivi di concorrenza e uniformità del mercato europeo rendono il phasing out una strategia più praticabile.

L’Ue non ha di recente trovato l’accordo per eliminare entro il 2027, con una strategia impostata, le importazioni dalla Russia di gas e petrolio, ma di fronte a sé ha i casi di Stati Uniti, Regno Unito e Germania che hanno imposto il phasing out dal petrolio russo con obiettivo fine 2022 o 2023. Stessa strategia quella che l’Italia sta portando avanti per eliminare, nelle intenzioni del governo Draghi, entro il 2025 (o più realisticamente nel 2026-2027) la dipendenza dal gas russo cercando accordi con Paesi come Algeria, Nigeria, Congo, Azerbaijan. Tutte queste politiche sono ascrivibili a strategie gradualiste di phasing out, unite dal fatto che la risorsa-obiettivo o l’importatore che si vuole ridimensionare non sono colpiti da un embargo immediato, ma bensì gradualmente depotenziati nella loro rilevanza sul mix energetico complessivo.

E ora anche Bruxelles pare convinta a sottoscrivere piani di questo tipo. Segnando di fatto un alt a chi, come i Paesi baltici, chiedeva una rottura totale imemdiata, e un via libera alla strategia pragmatica voluta dal cancelliere tedesco Olaf Scholz, fautore numero uno di un approccio capace di rifiutare ogni drammatica rottura con la Russia essendo a capo del Paese maggiormente esposto ai rischi di una disruption delle forniture da Est. In prospettiva questo muove delle prospettive interessanti.

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