L’Italia liberata, la guerra russa e la resistenza dei popoli in armi

MASSIMO GIANNINI

La sofferenza umana! Sarà ricordata, nei secoli a venire? Perché le pietre degli enormi palazzi e la gloria dei generali restano, ma la sofferenza no; la sofferenza è fatta di lacrime e sussurri, di ultimi respiri e del rantolo di chi muore, di grida di disperazione e di dolore, ma scompare senza lasciare traccia, insieme al fumo e alla polvere che il vento disperde nella steppa…». Sono i pensieri che l’immenso Vasilij Grossman fa brillare nella mente di Zenja, una delle donne-coraggio del monumentale “Stalingrado”, appena pubblicato da Adelphi. Anche lei, come altri, viene dall’Ucraina, che allora era sovietica. Cammina tra le macerie, per le strade della città devastata dai bombardamenti tedeschi, e osserva corpi che vagano, pregano, agonizzano. Vede una vecchia che sta morendo, mentre accarezza per l’ultima volta suo figlio. Si chiede cosa accadrà dopo, quando tutto sarà finito. Che ne sarà di questo legno storto che chiamiamo uomo, travolto dal fiume della Storia?

Dolore e memoria: è la “materia” di cui sono fatti i nostri incubi, in questa vigilia di 25 aprile. Noi festeggiamo la sconfitta del nazifascismo, mentre gli ucraini soffrono e muoiono sotto le bombe di Putin. Vicende storiche diverse, ma è impossibile non vederle connesse nella tragedia di un Novecento che non si rassegna mai a finire. Negli anni passati siamo riusciti a dividerci sul giorno della Liberazione perché, per usare la vecchia formula di Ennio Flaiano, una “trascurabile maggioranza” della destra italiana non ha mai fatto i conti con se stessa, accettando una volta per tutte l’idea che a far nascere la nostra democrazia sia stata la Resistenza.

L’esito, nel tempo, è stato scandaloso: una specie di “cancel culture” al contrario, tra “Bella Ciao” bandita nelle scuole e proposte di legge per trasformare il 25 aprile nella liberazione dal fascismo e dal comunismo. Quest’anno siamo riusciti a dividerci perché una deprecabile minoranza della sinistra italiana considera sacrilego qualunque accostamento tra la nostra Resistenza e quella degli ucraini, rifiutando a priori l’idea che Putin sia il carnefice e quel popolo la vittima. L’esito, qui ed ora, è stato vergognoso: una sorta di maccartismo incrociato, tra “russofili” pagati dal Cremlino e “amerikani” al soldo della Casa Bianca.

Sergio Mattarella ha rimesso ordine nel caos. Con il 25 aprile ricordiamo la rivolta morale e militare contro l’oppressore Mussolini: un “popolo in armi” riconquistò la libertà e la pace, dopo la guerra voluta dal regime fascista. Con il 25 aprile celebriamo «la data fondativa della nostra democrazia», la ricomposizione dell’unità nazionale e la riconciliazione sancita dalla Costituzione, che è la culla di tutti i diritti e la casa di tutti gli italiani. Con il 25 aprile ricordiamo «la sofferenza dei civili», contro i quali si accanirono le camicie nere e quelle brune. Gli stessi crimini si stanno consumando oggi con la sporca guerra russa contro l’Ucraina. Un «attacco violento e ingiustificato» ai danni di uno Stato indipendente. Un’invasione che ci riporta «alle pagine più buie dell’imperialismo» e che richiede una solidarietà «ferma e coesa» verso l’Ucraina. Dovrebbe essere naturale, proprio per noi che gli stessi orrori li abbiamo vissuti durante il Ventennio: un’esperienza terribile, che sembra dimenticata in queste settimane «da chi manifesta disinteresse per le sorti e la libertà delle persone, accantonando valori comuni su cui si era faticosamente costruita, negli ultimi decenni, la pacifica convivenza tra i popoli».

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