L’arte impossibile di arrendersi: i combattenti che difendono l’Azovstal temono la vendetta dei filo-russi

Domenico Quirico

Platone giudiziosamente raccomandava di proibire nello stato ideale la lettura dei poemi di Omero; perché trasmettevano ai cittadini «idee false riguardo alle questioni umane e divine», una di queste idee false e pericolose era la concezione dell’eroe che combatte fino alla morte per il desiderio della gloria e dell’onore. Che preferisce perire piuttosto che arrendersi anche quando la sua morte appare inutile. Mark Twain accusava Walter Scott di essere tra i responsabili del macello della guerra civile americana. I suoi romanzi cavallereschi avrebbero modellato le genti del Sud spingendole a una guerra gloriosa fino all’inutile sacrificio. Questo mi è venuto in mente attendendo, invano, ogni giorno, da settimane la notizia della resa dei difensori della acciaieria Azovstal a Mariupol dove la battaglia divora vite tra le rovine di una città che ha gli edifici rotti come gusci. Invece loro sembrano decisi a immolarsi, temo purtroppo trascinando nel proprio destino anche i civili rinchiusi nei sotterranei del complesso industriale e che non hanno più alcuna possibilità di modificare il corso della battaglia o di ricevere aiuti dagli ucraini.

Questo fazzoletto di undici chilometri quadrati sporchi di tutti i sudiciumi della guerra si abbranca alla grandezza della volontà di non alzare bandiera bianca. Aleggia la puzza di imbalsamazione eroica, di sepolcri che rimettono in piedi i vecchi miti dei combattenti martiri. I difensori di Mariupol, nazisti o non nazisti che siano, sono in preda alla chimera della eternità, della bella morte.

C’è in questo feroce frammento della guerra qualcosa di cui aver paura. Sognatori e saturi di notte tengono insieme la loro vita e quella a cui costringono civili, donne, bambini. Anche loro lì, sottoterra, con le onde sonore che penetrano nelle orecchie negli occhi, nel cervello e sbatacchiano i corpi in un violento tremore. Loro che obbligo hanno di diventare semidei, martiri morti in battaglia? Chi ha chiesto a questi sventurati nel misterioso mondo del campo di battaglia di convincere, sacrificandosi, gli altri che la loro causa è sacrosanta e quindi è onorevole morire in suo nome? La grandezza dei miliziani di Azovstal semmai non sarebbe proprio nell’arrendersi per dare ai civili, almeno a loro, qualche possibilità di salvarsi?

Speravamo di essere entrati in un età finalmente anti eroica. Eppure l’onore militare riveste ancora un ruolo importate negli eserciti, soprattutto tra le forze speciali. Il codice di condotta dei marines che risale agli Anni Settanta detta: «Non capitolerò mai volontariamente. Quando sarò al comando non capitolerò mai per i miei uomini se essi avranno ancora la possibilità di opporre resistenza».

Non so se i miliziani ultranazionalisti abbiano mai letto l’avvertenza di Omero, (mi pare che il loro comandante abbia affermato semmai di frequentare le pagine di Kant!), e che questa ostinata volontà di non capitolare sia davvero legata alla ricerca omerica della fama, perché solo il coraggioso avrà la consacrazione del ricordo e non tornerà nel nulla inghiottito dal buio eterno dell’oblio.

O non sia piuttosto la loro una non scelta, un eroismo obbligatorio: perché nella tragedia grande della guerra ucraina Mariupol sembra essere una scaglia che custodisce in sé un frammento particolare di odio e di veleni. Che insomma sia anche guerra civile, il regolamento di conti tra gli uomini della Azov, nazisti forse non soltanto per la propaganda russa, e gli abitanti del Donbass che hanno scelto il campo russo, altrettanto spietati.

Sono stati otto anni di feroce guerra civile, dove la pietà viene dopo e la prima cosa che conta è uccidere e vendicarsi, cancellare il nemico. E quindi per loro non esiste quell’arte della resa, capitolare, consegnarsi al nemico, che nel corso dei secoli ha modellato o cercato di disciplinare quello che è stato definito non a caso l’atto archidemico della guerra. Sanno cioè che il loro destino non è quello di prigionieri ma di esser giustiziati, massacrati in nome della vendetta. Questo è Mariupol, un luogo che esisterà in un lungo istante di violenza che va al di là di qualsiasi immaginazione.

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