M5S, l’odore dei soldi
Correva l’anno 2013, quello della prima trionfale affermazione nelle politiche, quando esplose la vicenda delle mancate restituzioni da parte di diversi «portavoce» che avrebbero dovuto trattenere per sé soltanto 5 mila euro lordi dell’indennità, impegnandosi a rendicontare dettagliatamente gli esborsi. Le fibrillazioni interne erano partite dalla crescente insofferenza per le donazioni al fondo di sostegno alle pmi, e avevano poi visto ampliarsi il numero dei parlamentari coinvolti in spese, diciamo così, allegre che venivano infilate nei rimborsi. Malcostume che portò all’archiviazione di quella pratica della rendicontazione che era stata presentata come un fiore all’occhiello della sobrietà grillina rispetto al «magna magna» del resto del mondo (politico). E, invece, pure alcuni di loro sui rimborsi “ci pestavano”.
Quindi – nel 2018 – esplose la vicenda dei finti bonifici di restituzione, di cui veniva stampata una ricevuta online, ma che risultavano revocati subito dopo. Nel 2021 arriva il lacerante divorzio tra il Movimento e Davide Casaleggio, il quale – e siamo sempre lì – chiede 450mila euro di arretrati destinati all’Associazione Rousseau. E, nello stesso anno, cade fragorosamente un altro immane tabù: il partito-movimento che aveva fatto della (vittoriosa) abolizione del finanziamento pubblico la sua ragion d’essere accede al 2 per mille. Una caterva di picconate al mito della diversità morale e della trasparenza, perché la maledizione dei soldi non risparmia nessuno. Specialmente quelli che fanno i duri e i puri, e promuovono le crociate ispirate a una presunta superiorità etica. D’altronde, a ben pensarci, la relazione problematica con il denaro, all’insegna di un isterico e parossistico odio-amore, è tipica delle culture antimoderne e antiliberali. Esattamente come il grillismo.
LA STAMPA
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