Il voto europeo della Francia (e le ambiguità dei sovranisti)
Il monito che dovrebbe venirne a Matteo Salvini e a Giorgia Meloni è chiaro. Leader che non sono più alla testa di piccoli movimenti, ma ambiscono ognuno legittimamente a guidare il primo partito italiano, non dovrebbero avere nessun tipo di legame con chi non condivide i fondamenti della Repubblica: ad esempio che il 25 aprile sia la festa di liberazione dal nazifascismo, e quindi celebri un valore che appartiene all’intera nazione.
Ma non è certo sulla memoria che si sono giocate le presidenziali francesi. I punti centrali sono stati l’economia — in particolare i prezzi — e la posizione della Francia in Europa, nell’Alleanza atlantica, nel difficile confronto con Putin.
Marine Le Pen ha posto questioni giuste, cui — secondo la maggioranza dei francesi — ha dato risposte sbagliate. Senza l’Europa, i risparmi varrebbero meno, e i prezzi crescerebbero ancora di più. Senza l’Europa, la Francia nel mondo conterebbe meno, e Putin rappresenterebbe una minaccia ancora più grave.
I sovranisti italiani sembrano tuttora in mezzo al guado tra Macron e Marine Le Pen, tra l’europeismo e l’euroscetticismo. Del resto, se persino Giuseppe Conte, ormai da tre anni alleato con il Pd, rifiuta di scegliere tra i due (mentre Luigi Di Maio è passato rapidamente dai Gilet gialli a Macron), è difficile pretenderlo da Salvini e Meloni. Salvini si è congratulato con Marine per il brillante risultato del primo turno; la Meloni invece ha chiarito che la Le Pen non la rappresenta. Però Salvini in Italia ha fatto una scelta politica diversa: sostiene il governo Draghi, ha contribuito alla rielezione di Mattarella. La Meloni è all’opposizione; eppure sulla guerra in Ucraina parla come Draghi.
Resta da capire quale sarà la linea che i leader della Lega e di Fratelli d’Italia sceglieranno in campagna elettorale, e soprattutto quale adotteranno se andranno al potere. Ipotesi tutt’altro che remota. Una maggioranza così ampia da tenere insieme Pd e Lega, Berlusconi e Grillo può essere giustificata solo da un’emergenza sanitaria, militare, economica. Nessuno può impedire al centrodestra, se vincerà le elezioni, di formare un governo. Ma quale governo sarà? Europeista o lepenista? Dialogherà con Macron o con Orbán, che non ha rinnegato la propria passione per Putin? Il punto di riferimento sarà la Commissione europea o le due famiglie sovraniste, quella con Marine Le Pen dove c’è Salvini e quella con gli spagnoli di Vox il cui leader è la Meloni?
Intervistato ieri da Marco Cremonesi del Corriere, il vice di Salvini, Lorenzo Fontana, compiacendosi per i voti raccolti dalla Le Pen, faceva notare che il partito popolare europeo è in crisi un po’ dappertutto. E in effetti il Ppe non guida nessuno dei quattro grandi Paesi dell’Unione. Per vincere le elezioni e governare, la destra europea è chiamata a unirsi e a rifondarsi. A tenere insieme liberalismo e protezione sociale, gli interessi dei moderati e le istanze dei radicali. Ma due pilastri sembrano impossibili da abbattere: la fedeltà all’Alleanza atlantica, impegnata in un duro confronto oggi con la Russia, domani si teme con la Cina; e la costruzione europea, per mettere in sicurezza il debito pubblico, il risparmio privato, la crescita legata al Pnrr.
I tedeschi accettano finalmente di fare debito comune, i francesi rieleggono l’europeista Macron, e noi italiani ci chiamiamo fuori, pensando di essere più forti da soli? Sarebbe un errore imperdonabile.
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