Macron, la guerra in Ucraina e la vera eredità degli europopulisti
Lucia Annunziata
Avrebbe potuto forse capire prima e fare meglio in questo suo primo mandato, sussurra il cuore cinico della politica, e anche durante la campagna elettorale appena finita, ma, come dire, alla fine contro il sovranismo al servizio di Putin possiamo accettare anche questi giravolte tardive. Di sicuro però stavolta non dobbiamo credere a scatola chiusa a nessuna promessa, e a nessuna previsione. I numeri, come scritto dai migliori analisti, non fanno sconti. Le Pen è al suo massimo, «anche se sotto le aspettative», e la vittoria del neo confermato Presidente arriva con un 58,5% per Macron e il 41,5% per Le Pen, che però è una perdita netta di due milioni di voti. Inutile aggiungere – perché questo lo sappiamo – che questa vittoria può anche solo essere quella di Pirro. I voti giunti a Macron sono infatti solo risultati del solo effetto sbarramento, la mobilitazione eccezionale contro il pericolo di destra. Un’arma che può funzionare nelle estreme circostanze, e che è stata usata molto, forse troppo, dalle attuali democrazie. Con il rischio che la mobilitazione contro il pericolo della destra diventi un fischietto invece che un ruggito e che alla fine si ritorca addirittura contro chi la usa troppo.
Parliamo di elezioni e citiamo le armi. E non è solo un’infezione verbale del linguaggio della guerra che sta travolgendo l’Ucraina.
In Europa c’è infatti anche una guerra politica in corso, acutizzatasi durante la metà del ventennio appena chiuso. Conflitto che non ha più nulla che fare con quello (di classe) dell’altro secolo, ma che descriviamo ancora per pigrizia con i vecchi termini di destra/sinistra, e che in realtà è una guerra fra nuovi ricchi e nuovi poveri. Una guerra che segue le nuove fratture delle classi e del potere, dell’influenza e degli Imperi in creazione e in dissoluzione, che si formano e si disfano nelle varie ere della globalizzazione. Una competizione per potere, influenza e superiorità, nel vuoto del futuro, di cui quella delle armi Russe è un episodio anche se è finora il più grave; e che sicuramente ha pesato (per ora positivamente, ma in futuro?) sulle elezioni francesi.
Simbolo e interpreti di questo conflitto sono il sovranismo e i suoi adepti. Termine ambiguo, che la Treccani ha incluso nelle sue pagine solo nel 2017: «Posizione politica che propugna la difesa o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovranazionali di concertazione».
La parola che gli studiosi fanno risalire alla fine degli anni Novanta in Francia, usata per descrivere il crescente scontento nel Paese, dopo la creazione dell’euro, per l’invasività della integrazione europea. Ma è la crisi de 2008, e la sua gestione da parte dell’Europa, che accelera il fenomeno dell’euroscetticismo e la rivolta politica. È proprio di Marine Le Pen il battesimo di un fronte “Sovranista e Patriota” nel 2012, che segnò il rinnovamento di una vecchia forza politica quale il Front National, mentre la paternità può essere attribuita a Matteo Salvini che nel 2013 avviò la trasformazione della sua Lega puntando tutto sulla uscita dall’euro.
Il sovranismo si allarga con il tempo a tutta una serie di fenomeni anti-europei e antidemocratici, come Orban in Ungheria, e in generale viene usato in maniera casuale come sinonimo di populismo, e crisi della democrazia liberale. Nonché crisi della stessa Europa.
Curiosamente, da un punto di vista di parallelismi, per capire l’anno in cui lo scontro con il populismo diventa emblematico in Occidente, occorre tornare indietro proprio alla prima elezione a Presidente di Macron, quando il suo movimento “En Marche” vince sulle ceneri del partito socialista e “salva” l’Europa (allora come oggi, i titoli sono gli stessi) dal successo di Le Pen. È l’anno 2017, con l’immigrazione a fare da miccia, che segna l’avanzata della estrema destra. In Austria va al governo il Partito della libertà di Christian Strache; In Olanda Geert Wilders diventato il secondo partito in parlamento, nonostante la sconfitta. In Germania al Bundestag entra l’estrema destra di Alternativa per la Germania, con il 12%, segnando simbolicamente una difficoltà per la stessa Merkel a formare un governo. È però la Brexit, uscita vincitrice dal referendum del 23 giugno 2016 a imprimere la più faticosa sfida europea: il 29 marzo 2017, Theresa May invia al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk la lettera che fa scattare l’Articolo 50. Il 2017, a gennaio, parte in Usa anche la presidenza Trump.
Macron, come abbiamo detto, è quasi la sola buona notizia per l’Europa. E quello di Macron non è esattamente un progetto di sinistra. Ezio Mauro, direttore di Repubblica, scrive di quell’anno, in data 15 febbraio, «un paesaggio democratico che credevamo conquistato per sempre, a garanzia di noi stessi e degli altri. Ma ecco che il sovranismo cambia la geografia emotiva e riduce l’orizzonte internazionalista in cui si muoveva la sinistra».
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