La nostra Europa vicina al tramonto
Massimo Cacciari
Mentre prosegue la tragedia ucraina e l’opinione pubblica è indotta a pensare di capirne qualcosa dalle tremende immagini dell’ultima ora provenienti dal fronte, le vicende dell’Europa occidentale sembrano svolgersi sul canovaccio di un suo sempre più irresistibile tramonto. Le sanzioni, inevitabili dopo l’invasione (e che Putin non poteva non aver previsto, dal momento che in precedenti e assai meno gravi occasioni la Russia le aveva subite), peseranno sulla sua economia, e, quel che conta ancora più, in modo tremendamente disuguale, accentuando le differenze tra Paese e Paese dell’Unione nelle politiche di welfare. Il suo ruolo geopolitico, poi, tenderà a scomparire, dopo le brillanti prove fornite con la guerra in Iraq, dal Medio-Oriente all’Afghanistan. Eppure, qualche anno fa, sulla tragedia in Ucraina (che, allora, quando l’esercito ucraino attaccò i secessionisti del Donbass, non suscitava molto interesse) si era alzata la voce di un suo protagonista. Macron aveva infatti “sponsorizzato” un accordo possibile tra Ucraina e Russia sulla base dello “stand by” di ogni decisione in merito all’ingresso dell’Ucraina nella Nato e dell’apertura di serie trattative sulla sistemazione delle regioni del Donbass e della Crimea che sono a larghissima maggioranza russofone (il pubblico forse ignora che la Crimea venne “donata” da Kruscev, ucraino, nel 1954 alla sua repubblica natale allora ovviamente parte dell’Urss, e che al referendum di qualche anno fa votò per tornare alla Russia il 96,7% degli aventi diritto – brogli meravigliosamente riusciti, vero?). Ora, questi spiragli per un’azione autonoma sono ridotti a meno della cruna dell’ago. Ma ciò è destinato a incidere radicalmente anche sugli equilibri politici interni dei nostri Paesi.
Diciamoci le cose con la franchezza, l’onestà e il realismo che le tragedie impongono. Le elezioni francesi insegnano, come, nello stesso senso, insegnano anche le vicende italiane, e prima ancora quelle greche, spagnole, ecc. ecc. Casi diversi, certo, in base anche alla forza dei diversi Stati, ma un filo rosso li unisce. Le Marine Le Pen potranno provare altre dieci volte a vincere e mai vinceranno. Pericolo felicemente scampato – meno felici forse le ragioni per cui ne siamo immuni. Semplicemente, i nostri concittadini europei hanno compreso in grande maggioranza che non è possibile governare un Paese occidentale senza l’esplicito sostegno delle grandi potenze finanziarie e economiche globali. Votare le Le Pen significa votare per aprire una crisi. I cittadini europei votano oggi, e del tutto ragionevolmente, per coloro che pensano in grado di difendere, grazie alla autorevolezza di cui godono proprio “a casa” di quelle potenze, quel poco o tanto di benessere e sicurezza che è loro rimasto. Le Le Pen non sono votate – o non sono votate abbastanza – non perché culturalmente indigeribili, ma perché sicuri fattori di sicura insicurezza. Così almeno in tutte le elezioni che contano, in altre il voto può essere più “libero” e la protesta nei confronti dell’establishment alzare la voce. Se però la alza troppo – vedi affermazioni grilline – la situazione diviene ingovernabile e si provvede, come da noi, con i Ciampi, i Dini, i Monti, i Draghi (e conseguente ravvedimento dei rottamatori – incredibile addirittura nel caso dei vari Di Maio nostrani). Provvedimenti provvidenziali, magari, ma la morale della favola non cambia: in Occidente non si governa se non sulla linea politico-economica che questi nomi rappresentano. La scomparsa della cosiddetta “sinistra” è il prodotto di tale destino, ben più che della incapacità e smemoratezza dei suoi leader. E la nostalgia per quel nome, rimasto un puro flatus vocis, semplicemente patetica. La riduzione dell’Europa a Provincia atlantica è l’altrettanto inevitabile conseguenza – che poi, per rendere la legge meno dura, si dipinga la Nato come una grande forza di pace non è, si sarebbe detto una volta, che trascurabile sovrastruttura ideologica.
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