Quella sintonia persa tra Letta e Conte
Federico Geremicca
Quando Enrico Letta assunse la guida del Pd, poco più di un anno fa, volle subito definire una questione tutt’altro che secondaria: di fronte ai molti nostalgici dell’appena caduto governo giallorosso, spiegò che «il governo Draghi è il nostro governo». Letta sapeva, naturalmente, che l’esperimento avviato a Palazzo Chigi avrebbe portato con sé numerose insidie. E infatti oggi, probabilmente, completerebbe così quel chiarimento ormai datato: «E’ il nostro governo, a patto che lo sia anche per gli altri». Le cose non stanno andando come aveva sperato. E se gli smarcamenti della Lega erano messi in conto, la situazione si è complicata quando anche i Cinquestelle hanno cominciato a piantare bandierine e rivendicare “identità” perfino su questioni delicatissime come la guerra in Ucraina. La sensazione che si è lentamente diffusa in Largo del Nazareno è un po’ quella di chi sente di esser rimasto da solo a fare la guardia al tradizionale bidone. Sensazione sgradevole. Ed evocativa di una eclissi già vissuta: l’esperienza del governo Monti, che ebbe dinamiche non dissimili e poi risultati elettorali deludentissimi per il Pd.
Ma che fare? Al di là dei ripetuti appelli al senso di responsabilità e alla coerenza (irricevibili a nemmeno due mesi da elezioni parziali ma già trasformate nell’ennesimo Giudizio di Dio…) non resterebbero che due vie: cominciare a distinguersi dal governo precisamente come gli altri o addirittura far saltare il banco. Entrambe le ipotesi appaiono poco consone a un partito che sembra aver fatto della stabilità l’ago della propria bussola: ma sono senz’altro sufficienti a riaprire tra i democratici un dibattito per ora confuso e potenzialmente interminabile. Il cuore della questione, in verità, dovrebbe essere il profilo da dare a due rapporti difficili da definire: quello col governo Draghi e quello col Movimento di Conte, alleato sfuggente ma considerato strategico. Le due questioni si tengono, visto come le ultime posizioni assunte dal leader Cinquestelle sulla guerra stanno facendo salire la tensione intorno a Palazzo Chigi. Con l’ex premier giallorosso servirebbe, come si dice in casi così, un chiarimento di fondo: sull’oggi (come stare nell’esecutivo) e sul domani (come presentarsi alle elezioni). Ma Conte, sballottato qua e là dalle correnti a Cinquestelle, non pare in grado di dare risposte su nessuno dei due fronti.
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