Occasione Italia nel risiko del gas
di Maurizio Molinari
Davanti alla minaccia russa di taglio delle forniture di gas all’Europa, l’Italia è stata la nazione più rapida nel trovare fonti alternative di energia e questo assegna al nostro Paese un ruolo di potenziale leadership geoeconomica nel Mediterraneo che entra d’obbligo nell’agenda in preparazione dell’imminente visita a Washington del premier Mario Draghi.
Il ricatto del gas russo all’Europa – teso a punire i Paesi che sostengono la resistenza ucraina all’invasione militare – è iniziato con una raffica di dichiarazioni del presidente Vladimir Putin accompagnate dalla decisione di ridurre o interrompere del tutto le forniture a Polonia e Bulgaria, due dei Paesi più impegnati a far transitare aiuti militari verso Kiev.
La reazione dell’Ue è stata finora coesa nel respingere il ricatto di Mosca ma disomogenea nella scelta delle contromosse. Con la Germania – maggiore importatore di gas russo – in palese difficoltà, come evidenziato dai conflittuali annunci del cancelliere Olaf Scholz sulla consegna di armi pesanti all’Ucraina.
Da qui l’importanza delle iniziative del governo Draghi che, in poco meno di due settimane, ha prima firmato con Algeri il raddoppio delle forniture di gas e poi ha inviato i ministri Di Maio e Cingolani in Congo e Angola per pianificare un’altra linea di rifornimento di gas naturale. E ancora: una nuova missione italiana andrà in Mozambico, ricco di giacimenti di gas, mentre il dialogo in corso con l’Egitto verte attorno all’ipotesi di importare dal mega-giacimento di Zhor gas liquido via nave verso i nostri tre rigassificatori, la cui potenzialità è stata rafforzata dall’affitto di almeno due piattaforme galleggianti con simili capacità.
A conti fatti l’Italia, che importa il 40 per cento del proprio gas dalla Russia, potrà entro l’inverno del 2023 dimezzare tale dipendenza grazie agli accordi con Algeria, Congo, Angola, Egitto e Mozambico. Oltre al fatto che tali intese possono portare – secondo uno studio della “Capterio”, l’agenzia britannica specializzata del recupero del gas perduto – l’intera regione europea a “sostituire entro 12-14 mesi il 15 per cento del gas russo adoperando impianti sottoutilizzati o a gas liquido”.
Ovvero, gli accordi siglati in Africa dall’Italia possono trasformarsi nella “porta all’Europa” per quantità di gas naturale capaci nel breve periodo di sostenere l’impatto della rinuncia all’energia russa. Ad estendere questo scenario sono le altre opzioni a disposizione dell’Italia nel Mar Mediterraneo.
La prima e più evidente è un accordo con Israele per far arrivare il gas del mega-giacimento “Leviathan” davanti Tel Aviv fino in Egitto, attraverso il già funzionante “gasdotto della pace”, per aumentare l’import di gas liquido via nave. E poi c’è la seconda: un accordo con la Turchia per portare in Europa, via terra, non solo il gas israeliano ma anche quello azero e dell’Asia Centrale.
Ankara finora è stata del tutto dipendente dalle forniture energetiche russe ma la guerra ucraina la sta spingendo lontano da Mosca: prima i droni forniti a Kiev, poi la chiusura del Bosforo al traffico delle navi militari russe – sulla base della Convenzione di Montreux – e quindi la chiusura anche dei cieli agli aerei militari russi fanno capire che Recep Tayyip Erdogan si sta riposizionando, pur senza aderire alle sanzioni a Putin.
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