Le inedite simmetrie tra Giorgia Meloni ed Enrico Letta
di Stefano Folli
Gli eventi delle ultime settimane, compresa la conferenza programmatica di Fratelli d’Italia a Milano, hanno reso più evidente una certa simmetria tra Giorgia Meloni ed Enrico Letta. Simmetria non di idee, s’intende, ma di prospettiva. Con una certa analogia circa le difficoltà che entrambi incontrano sul loro cammino. In primo luogo, si tratta dei due maggiori partiti, quasi appaiati nei sondaggi. Sia il Pd sia Fd’I non hanno certo esaurito le loro ambizioni. Enrico Letta sta costruendo nel centrosinistra un sentiero che potrebbe portarlo un giorno a Palazzo Chigi. In modo quasi speculare, Giorgia Meloni ha messo in chiaro il suo obiettivo se il centrodestra vincerà: anche lei punta a guidare un governo, ma in ogni caso intende essere l’elemento dominante nel recinto che un tempo coincideva con l’alleanza tra Lega, Forza Italia e appunto Fd’I mentre oggi non si sa bene chi sta con chi. Non solo: entrambe le sigle, Pd e Fd’I, riflettono, pur con le loro differenze, un’immagine tradizionale, quasi in controtendenza. È vero, si sono parzialmente adeguate ai tempi, ma sono tra le poche, per non dire le uniche, che rispettano la forma e la sostanza del partito. Letta vuole scrollarsi di dosso la fama, peraltro spesso ingiusta, di un Pd votato in prevalenza nelle Ztl, ossia nei centri storici. Giorgia Meloni vuole tenersi il voto popolare, per cui le tasse che intende abbassare sono soprattutto quelle sul lavoro.
E c’è dell’altro. Letta si è liberato della vecchia soggezione verso l’alleato 5S, ossia verso Conte come leader di fatto della coalizione. Una soggezione che non riguardava lui, ma la precedente gestione del Pd. Oggi le posizioni dell’ex premier “grillino” sulla guerra sono più che mai ambigue e divergenti rispetto al governo Draghi (vedi la bizzarra polemica sulle armi “solo difensive” da inviare a Kiev: senza spiegare quali siano, visto che tutte le armi svolgono le due funzioni, a cominciare dai carri armati).
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