Non c’è giustificazione per gli aggressori. Dal terrorismo all’Ucraina ecco la lezione
Mario Calabresi
Sono passati quarant’anni dal 17 maggio 1972, il giorno in cui mio padre, il commissario Luigi Calabresi, venne assassinato sotto casa a Milano.
Un tempo lunghissimo ci divide da quella mattina. Era l’alba degli Anni di Piombo, tre anni prima c’era stata la strage di Piazza Fontana, ma per la prima volta con quell’omicidio era stato scelto un bersaglio, era stata costruita una campagna per distruggerlo e screditarlo e alla fine lo si era eliminato. Sarebbe successo centinaia di volte negli anni successivi. Magistrati, poliziotti, carabinieri, sindacalisti, professori, operai, medici, guardie penitenziarie, giornalisti, studenti e uomini politici sarebbero stati messi nel mirino, trasformati in simboli e disumanizzati e poi colpiti a morte, gambizzati, resi invalidi.
Siamo qui per ricordare. Questo è il senso per cui è nata questa giornata, momento prezioso per tenere viva la memoria di persone che persero la vita in un tempo feroce.
La domanda che mi faccio è a cosa siano serviti questi cinquant’anni, se siano passati invano, se siano solamente serviti a scolorire i ricordi, a dimenticare, a rimuovere. Se il gesto violento abbia vinto per sempre o se invece il tempo, alla fine, abbia restituito qualcosa e reso giustizia.
Per molto tempo la solitudine, il silenzio e un diffuso disinteresse, forse figlio dell’imbarazzo, forse del fastidio, hanno circondato le vittime del terrorismo e i loro familiari. Difficile, quasi impossibile riuscire a far sentire la propria voce, essere ascoltati. Tutti coloro che sono qui e che hanno perso una persona amata negli Anni di Piombo sanno di cosa parlo, di quei lunghi anni in cui ci sentivamo dimenticati e quasi di peso.
Anni in cui il dibattito pubblico non contemplava di potersi dedicare alle vittime e alla loro memoria, in cui le librerie erano piene soltanto di volumi scritti da ex terroristi o ideologi della rivoluzione, in cui negli anniversari, soprattutto in questo che cade nella data del ritrovamento del corpo di Aldo Moro, in televisione e sui giornali a spiegarci cosa era successo erano gli assassini.
Sapete tutti quanto l’amarezza sia stata una compagna di vita e di cammino. Poi però è accaduto qualcosa e sono cominciati ad arrivare segni di attenzione, gesti che hanno fatto breccia nel disinteresse e che sono arrivati sempre dallo stesso luogo: il Quirinale. Sono stati i presidenti della Repubblica, è importante ricordarlo, a svegliare la coscienza del Paese, ad aiutare l’opinione pubblica a ricordare. Ha cominciato Carlo Azeglio Ciampi, con un’opera di attenzione verso gli uomini dello Stato uccisi perché difendevano le Istituzioni e la democrazia. Un cammino intrapreso con decisione e grande attenzione da Giorgio Napolitano, capace di gesti forti e di spingere l’approvazione – avvenuta quasi all’unanimità – di questo Giorno della Memoria dedicato alle vittime del terrorismo e delle stragi.
Un cammino che ha trovato nel presidente Mattarella una persona capace di comprendere fino in fondo le sensibilità di chi ha perso una persona amata, un presidente che non possiamo non sentire, anche per storia personale, come uno di noi.
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