Non c’è giustificazione per gli aggressori. Dal terrorismo all’Ucraina ecco la lezione

L’esempio che è arrivato dall’alto ha cambiato la direzione del dibattito pubblico, non si sono quasi più visti ex terroristi pontificare in televisione, le voci delle vittime hanno trovato uno spazio nuovo, e l’esempio ha contaminato la società. Molti comuni hanno dato vita ad iniziative, ad intitolazioni di giardini, vie e piazze e tantissime scuole hanno fatto e continuano a fare progetti di ricordo dei caduti.

Questi semi hanno fatto fiorire una larga consapevolezza che la violenza politica non porti mai risultati fecondi e hanno solidificato la coscienza di chi stesse dalla parte della ragione. Di quanto quegli omicidi fossero ingiustificabili.

In questi giorni e in queste ore il nostro pensiero non può non andare all’Ucraina, a chi è vittima di violenza e ciò che abbiamo imparato dovrebbe indicarci con chiarezza una lezione fondamentale: non esistono giustificazioni per gli aggressori. E allora questi cinquant’anni non sono passati invano, il nostro Paese, almeno da quel punto di vista, è migliore e ha imparato qualcosa.

Così oggi possiamo ricordare Luigi Calabresi per quello che era, pulito da calunnie e campagne diffamatorie. Era un giovane funzionario di polizia, venne ucciso a soli 34 anni, (io oggi ne ho ben 18 più di lui) che amava profondamente il suo lavoro. Lo interpretava come una missione, pensava che il dialogo fosse l’arma migliore, tanto che girava senza pistola. L’arma la teneva a casa, smontata, nel cassetto dei maglioni a collo alto.

Pensava che si dovessero usare tutta la pazienza e il tempo possibili per convincere i ragazzi a lasciare la strada della violenza, pensava che ci fossero i cattivi maestri nelle università e fuori dalle fabbriche, ma era anche convinto che all’interno dello Stato per cui lavorava ci fosse chi soffiava sui conflitti e tramava per favorire svolte autoritarie. Restò fino alla fine fedele ai suoi principi e ai suoi valori e scelse, consapevolmente, di non scappare anche quando il clima era diventato pesantissimo e l’aria, intorno a lui, irrespirabile.

Sono passati cinquant’anni ed è venuto il momento di consegnare quel tempo alla Storia e alla memoria privata ma, se tanto è stato fatto – nel nostro caso come in molti altri abbiamo avuto il conforto della Giustizia dello Stato – alcune tessere del mosaico ancora mancano. Molti degli uomini e delle donne che hanno ucciso, che hanno aiutato ad organizzare, che hanno sostenuto, fiancheggiato e che sanno, sono ancora tra noi. Da mezzo secolo però si sono rifugiati nel silenzio, in un silenzio che è omertà.

Continuo a pensare che il coraggio della verità sarebbe per loro un’occasione irripetibile e finale di riscatto. Il gesto che permetterebbe di chiudere definitivamente una stagione e a noi di ricordare non solo il poliziotto, ma l’uomo che tornava a casa nel cuore della notte e si metteva a fare le crostate per la colazione della mattina dopo.

LA STAMPA

Rating 3.00 out of 5

Pages: 1 2


No Comments so far.

Leave a Reply

Marquee Powered By Know How Media.