Volano schizzi di fango. Quella faida a sinistra D’Alema-De Benedetti
Noi non cercavamo di raccattare merda». La grande direzione giornalistica a cui D’Alema fa riferimento è quella dell’Unità, che D’Alema ha diretto in quanto organo del partito, come pure ha fatto Walter Veltroni (e prima ancora Pietro Ingrao, Gian Carlo Pajetta , Emanuele Macaluso, tutti parlamentari del Pci), non per meriti giornalistici ma in quanto importante esponente del partito di cui l’Unità era l’espressione cartacea. In realtà D’Alema ha sempre odiato i giornalisti, da lui definiti «iene dattilografe», compresi i vignettisti, visto che chiese tre miliardi di lire a Forattini (D’Alema però non risulta abbia rinunciato alla pensione Inpgi, quella degli ex giornalisti). Contro il Domani D’Alema ha anche un altro obiettivo da colpire oltre ai giornalisti, cioè l’editore De Benedetti. Dice, sempre incazzatissimo, «noi, Nettis, Eni e io, a farle causa, il suo padrone i soldi li ha, lui sì veramente, e so bene come li ha fatti quindi è in grado di ripagarci». Quindi, dopo aver accusato il quotidiano di dare credito a «cazzari che si dicono cazzate senza alcun riscontro», si congeda con un ghigno satanico: «Scriva quello che vuole, l’idea di citare l’ingegner De Benedetti mi diverte». Tra i due, in effetti, ci sono antiche ruggini. Ogni tanto si insultano a vicenda. Quando D’Alema uscì dal Pd per andare in Leu, De Benedetti la definì una «avventura ridicola». Richiesto di replicare a questa affermazione, D’Alema rispose: «Non mi interessa, non mi occupo di insider trading». Prima ancora, quando l’editore (allora) di Repubblica lo accusò di aver ammazzato il Pd, D’Alema gli affibbiò il nomignolo di «berluschino» («Ci sono tanti imprenditori che vogliono fare i Berlusconi di sinistra, che vogliono condizionare la politica. Ma sono dei Berlusconi di serie B, dei “berluschini”»). D’Alema? «É un caso umano», gli risponderà poi De Benedetti. La rissa continua.
IL GIORNALE
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