Le (giuste) parole della pace
Che si tratti di malafede o di superficialità, non è la prima volta che le esigenze della rissa mediatico-politica di casa nostra vengono applicate a una cosa come la guerra, troppo seria per essere lasciata ai guerrieri da talk show. Ancora ieri, per esempio, a tre giorni dall’accertamento dell’errore, c’era ancora chi scriveva che Stoltenberg, segretario generale della Nato, avrebbe smentito la disponibilità espressa da Zelensky a cedere la Crimea, e che ciò confermerebbe che in realtà è la Nato a combattere una guerra per procura contro la Russia. Ma il fatto è che della presunta offerta di Zelensky c’era traccia solo sui media italiani (problemi di traduzione?). Mentre di Stoltenberg, invece, è stata citata una sola frase: «L’annessione illegale della Crimea non sarà mai accettata dai membri della Nato» (e anche questo è un fatto: non solo i Paesi Nato, ma nessuno al mondo ha riconosciuto l’annessione otto anni fa, quando è avvenuta illegalmente, con l’eccezione di Afghanistan, Cuba, Corea del Nord, Kirghizistan, Nicaragua, Siria e Zimbabwe). Viene invece deliberatamente omessa la successiva frase di Stoltenberg: «Saranno però il governo e il popolo ucraino a decidere in maniera sovrana su una possibile soluzione di pace».
Perché quest’ansia di manipolazione? Non sarebbe meglio tornare a cronache rispettose dei fatti, poi ognuno li commenta come vuole? Gli ammiratori nostrani di Putin dichiaravano da due mesi che l’autocrate russo avrebbe potuto sventrare l’Ucraina come e quando voleva, che la resa di Kiev era un dovere morale perché non si combatte una guerra già persa, perfino che il paragone con la Resistenza italiana non reggeva perché i nostri partigiani avevano la possibilità reale di vincere, mentre quelli ucraini no. E ora temono addirittura che Putin venga umiliato? È una presa d’atto del fatto che le previsioni apodittiche di tanti improvvisati esperti di geopolitica sono fallite come i piani A e forse anche B dell’armata di Putin?
Se questo è l’intento, fatti loro: noi non sappiamo come e quando finirà questa guerra, ma di certo in Italia ha già distrutto molte reputazioni e calpestato molti principi etici. Ma se l’intento è quello di Macron e dell’Europa (ricordo che il capo di Stato francese è il presidente di turno dell’Unione), allora è più che giusto ripetere che a guerra finita, a pace conquistata, la Russia non dovrà essere umiliata, perché la sicurezza dell’Europa si basa sull’indipendenza da e sulla cooperazione con questo suo grande e tormentato vicino.
Non siamo in guerra con la Russia. È la volontà di potenza di Putin che ha portato la guerra in Europa. Va fiaccata, respinta, e costretta alla pace.
CORRIERE.IT
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