Consenso bulgaro: Putin vola nei sondaggi
Aleksey Levinson
Circa un mese dopo l’inizio della «operazione speciale» in Ucraina, il Levada-zentr ha fatto un sondaggio. Qualcuno credeva che le azioni della leadership russa, e le loro conseguenze, avrebbero alimentato uno scontento popolare, gli altri pensavano il contrario. La seconda corrente di pensiero aveva motivi di esistere: nel 2008, la breve operazione militare per «costringere alla pace» la Georgia aveva portato a un picco della popolarità di Vladimir Putin (in quel momento nemmeno presidente e comandante supremo, ma soltanto premier) all’88%. Nel 2014, l’annessione incruenta della Crimea ha riportato la sua popolarità allo stesso livello. In entrambi i casi la reazione negativa della comunità internazionale non aveva fatto che convincere il pubblico russo di essere dalla parte della ragione, e le sanzioni non erano apparse né come un danno pesante, né come una punizione: i russi credevano di avere agito come solo una grande potenza può permettersi di agire, e la reazione impotente seppure negativa dell’Occidente non faceva che riconoscere la loro grandezza.
Stavolta, l’operazione non è stata né rapida, né incruenta. Lo capiscono perfino quelli che ascoltano soltanto le voci dalla tv: le aspettative di panico, di tempi di fame e assedio economico sono molto diffuse. Coloro che, nello spirito di un marxismo-leninismo di sovietica memoria, credevano che l’esistenza condizioni la coscienza, hanno iniziato a sperare che qualcosa sarebbe cambiato. Non è successo. Oggi, come nel 2014, a salire non sono stati soltanto il sostegno all’operazione militare e al suo comandante (che stanno raggiungendo rapidamente l’apice, la prima all’81% e Putin all’83%, 12 punti in più rispetto a febbraio). A chi rimane inorridito, e crede che il televisore abbia vinto su tutto, annientando ogni tratto umano, rispondo: no, è molto più complicato di così.
Abbiamo domandato ai russi quali sentimenti provassero verso l’operazione militare russa in Ucraina. Gli indecisi sono stati pochissimi, il 2%. L’8% dichiara di non aver provato «nessun sentimento particolare». Gli altri scelgono volentieri tra una dozzina di definizioni proposte, divise in quattro categorie emotive: sentimenti positivi (orgoglio per la Russia) e negativi (rabbia, indignazione, vergogna) a sfondo politico, e sentimenti positivi (soddisfazione, gioia, ottimismo) e negativi (ansia, terrore, shock) privi di articolazione politica. Si poteva scegliere più risposte, quindi la somma supera il 100%.
Se guardiamo la proporzione dei sentimenti negativi e positivi, l’opinione pubblica si spacca quasi a metà, 51% e 49%, con strutture interne completamente diverse. Nel campo delle emozioni positive primeggia (40%) l’«orgoglio per la Russia», una risposta politica, mentre la «gioia» si prende soltanto l’11%. Nella metà opposta il rapporto è inverso: le risposte politiche, «rabbia, indignazione, vergogna», sono il 10%, i restanti 39% parlano di ansia, paura, shock. È evidente che la vergogna e l’orrore possono coesistere in un’anima singola come in quella collettiva, e l’orgoglio può convivere con l’ansia. Ma è chiaro che il sostegno del pubblico russo all’esercito, e al suo comando, coesiste con una grande ansia.
Perfino molti russi appartenenti all’80% putiniano, i più numerosi a essere fieri del loro Paese, ammettono paura ed altre emozioni negative, che tra gli under 35 prevalgono: tra i più giovani sono due volte più frequenti di quelle positive, e l’orgoglio raggiunge il minimo storico (33%), battuto dalla paura, ansia e terrore (37%). Tra le persone di mezz’età si osserva una relativa prevalenza delle emozioni positive, che però aumenta visibilmente soprattutto tra i più anziani. Gli over 65 offrono all’esercito in guerra e a Putin un 90% da record. È curioso che, nonostante in questa fascia d’età prevalgono nettamente le donne, provano ansia e paura molto meno delle altre categorie.
Un quadro molto più complesso di quanto appare da una lettura superficiale dei risultati. Soltanto il 15%, per esempio, non ha saputo o voluto rispondere alla domanda sul movente di chi protesta contro la guerra. Gli altri hanno scelto una o più delle cinque risposte proposte. La più frequente è quella suggerita dalla propaganda: il 32% dice che chi va in piazza «è stato pagato». Anche qui l’età influisce molto: tra i giovani, che sono la maggioranza dei manifestanti è al penultimo posto nella classifica, tra gli anziani che amano criticare i giovani è la più popolare. Si tratta di un’ipotesi comoda perché dichiara la protesta falsificata, indicando subito imprecisate forze occulte che cercano di corrompere il sistema. Chi sceglie di rispondere così rompe con chi protesta, collocandoli come moralmente inferiori, attratti dal denaro: una risposta perfetta per mostrare la lealtà verso il potere, come anche quella di una protesta «per stare in compagnia di amici, per curiosità», che ha preso il 15% dei voti.
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