Brunetta: “Il voto in autunno, roba da Italietta. Un chiarimento? Sì ma solo tra i 5S”
La maggioranza è coesa? A vedere lo scontro su balneari e fisco non sembra. Per non parlare delle armi.
«Quello è fermarsi a guardare il dito. La luna ci dice, invece, che nei suoi 15 mesi di vita il governo Draghi ha deliberato in Consiglio dei ministri 71 disegni di legge, di cui 56 decreti-legge, per fare le riforme e affrontare le emergenze, sempre dalla parte delle famiglie e delle imprese. Il Parlamento ha approvato 40 provvedimenti di origine governativa, lavorando a pieno ritmo e risolvendo anche passaggi complicati. Sulla delega fiscale l’intesa è stata trovata, dopo un confronto magari acceso, ma senza chiusure».
Ora dirà che anche sulla concorrenza sono rose e fiori?
«Sulla concorrenza il percorso è ancora accidentato, ma il passaggio parlamentare non può che essere visto come un arricchimento dei contenuti della delega, non certo come un potenziale elemento di crisi. La responsabilità dimostrata dai partiti della maggioranza non verrà meno. Quanto alle armi, non mi pare che l’agitarsi degli opportunismi miopi di destra e di sinistra possa essere un motivo di preoccupazione: non credo affatto che posizioni di pacifismo ideologico sul conflitto in corso possano restituire ai populismi fiato nella democrazia italiana. Anzi, più dura l’esperienza del governo Draghi, più cresce nel Paese una coscienza civile immune a quelle sirene».
Il governo rispecchia il Paese? Cottarelli non ne è persuaso.
«È, di fatto, un governo di unità nazionale, nato per costruire una nuova Italia dentro una nuova Europa. Un governo che gode della fiducia degli italiani. Lo ha dimostrato il successo indiscutibile delle vaccinazioni: nonostante la disinformazione no vax, il 90% degli over 12 ha completato il ciclo vaccinale primario, seguendo le indicazioni dell’esecutivo sempre basate sulla scienza. Siamo stati un modello per l’Europa e per il mondo. Effetto Draghi, ancora una volta. Mentre i partiti sono in cerca d’identità, questo governo è la vera guida in sintonia con il Paese reale».
Guardiamo avanti. Cosa vede l’economista. Recessione, stagflazione o andamento lento?
«Nessuna delle tre opzioni. L’economia italiana tiene. Basta guardare i dati sulla produzione industriale e sul turismo, o anche il tasso di occupazione salito al 59,6%, un record storico per il nostro Paese. Da inguaribile ottimista, sono allergico ai catastrofismi. Per il principio economico delle profezie autoavveranti, il pessimismo programmatico è un atteggiamento che l’Italia non si può proprio permettere».
Lo spread sta salendo. Rischiamo di essere penalizzati in caso di crisi?
«Chiariamo prima un punto: la salita dello spread in queste settimane non può essere minimamente attribuita al governo Draghi. Chiunque abbia familiarità con i numeri della finanza sa che il rendimento del decennale italiano da inizio anno (pre stretta monetaria, pre guerra) è salito dall’1,1% al 2,7%, circa il 140% in più. Lo stesso titolo decennale per la Spagna è passato dallo 0,5% all’1,9%, ossia il 280% in più, un aumento doppio di quello italiano. Ironicamente, effetto Draghi per la Spagna? E poi, se la salita dello spread fosse un problema legato all’esecutivo, che senso ha proporre una crisi di governo, che quasi certamente ci porterebbe all’esercizio provvisorio di bilancio, alimentando ulteriore incertezza sui conti pubblici italiani? La verità è che non si vedono all’orizzonte scudi più efficaci di Draghi, anche contro il rialzo dello spread. Dato il momento, del tutto imprevedibile, non potevamo essere in mani migliori».
Intanto c’è la porta aperta allo scostamento? Che ne pensa lei, anche alla luce del negoziato per la riforma del Patto di stabilità?
«Aumentare ulteriormente il deficit pubblico attraverso un nuovo scostamento di bilancio plurimiliardario che non sia supportato e coordinato a livello europeo darebbe un segnale negativo ai mercati finanziari. Quello, cioè, che l’Italia non è capace di continuare nel percorso virtuoso di risanamento dei conti pubblici. È l’Europa il nostro riferimento, soprattutto nel mezzo di una fiammata inflazionistica che sta investendo tutta l’Eurozona e alla vigilia di una politica monetaria più restrittiva da parte della Bce. Il sentiero è stretto, non possiamo più procedere in solitudine. Quanto alla riforma del Patto di stabilità, Draghi e Macron dalle pagine del Financial Times hanno concordato sulla necessità di una riforma delle regole sul deficit che crei adeguati spazi di bilancio necessari al finanziamento degli investimenti per la transizione digitale e ambientale. Magari, aggiungo io, rendendo permanente uno strumento di finanziamento degli investimenti in beni pubblici europei sul modello Ngeu, finanziato attraverso nuove risorse proprie di bilancio dell’Unione e l’emissione di debito comune».
Servirebbe più Europa. Ma siamo abbastanza credibili per convincerli?
«Lo siamo grazie al nuovo protagonismo dell’Italia. Un altro merito di Draghi, che il 3 maggio a Strasburgo ha invocato una modifica dei Trattati proprio per permettere all’Europa di rafforzarsi e di realizzare un “federalismo pragmatico”. La risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 4 maggio apre, di fatto, la strada alla scrittura di una nuova Costituzione europea. La pandemia ci ha insegnato che nessuno Stato si salva da solo, che non c’è sovranità possibile se non europea. Come ha detto la presidente dell’Europarlamento Roberta Metzola, dobbiamo difendere la politica della speranza. Ha ragione: non c’è alternativa all’Europa, baluardo della democrazia liberale, della pace e della libertà».
Il centrodestra vorrebbe unirsi, ma ha toni diversi. E’ possibile un patto?
«I toni diversi sulle singole questioni interne fanno parte del gioco, non sono dirimenti nell’ostacolare un’unione. Dirimente è, invece, il posizionamento sulle questioni chiave del nostro tempo: l’Europa e il suo futuro su tutte. Se i valori fondanti di Forza Italia tornassero il baricentro del centrodestra, la coalizione avrebbe un senso. Altrimenti torneremmo alle alleanze disomogenee formate solo per ragioni elettorali. Sciogliere le contraddizioni interne agli schieramenti è un altro buon motivo per arrivare alla conclusione naturale della legislatura. Ripeto: e se la smettessimo di farci del male?».
LA STAMPA
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