Il governo alla prova della Nato allargata

Viceversa il voto che conta è quello obbligatorio su Svezia e Finlandia nella Nato, poiché si tratta di ratificare un trattato internazionale. Non sappiamo quando sarà, ma il costituzionalista Stefano Ceccanti prevede che non si potrà andare troppo in là “per non lasciare i due Paesi in un limbo”. Facile immaginare quindi che l’opposizione non si limiterà alle tv e ai canali “social”. Se c’è una logica, i 5S di Conte (non quelli di Di Maio) e la Lega di Salvini dovranno trovare il modo di farsi sentire, a meno che non vogliano far precipitare nel grottesco tutta la loro linea anti-Kiev e anti-Usa. Se accettassero senza battere ciglio l’allargamento della Nato, si dovrebbe concludere che il gran rumore di queste settimane contro Draghi e contro le scelte del governo è stato solo un gioco di parole. Il sospetto peraltro è legittimo, visto che il decreto di marzo era stato votato anche dalle forze che oggi in teoria lo contestano. Quelle stesse forze che chiedevano a Draghi di presentarsi in Parlamento prima del viaggio in America, ben sapendo che il voto non sarebbe stato possibile.

REP.IT


Tuttavia sulla Nato più larga lo scenario cambia. Il voto contrario su un trattato internazionale che riguarda la nostra alleanza politico-militare provocherebbe la caduta del governo. Ognuno sarà dunque messo di fronte alle proprie responsabilità. La linea discriminante fissata dalla politica estera appare sempre più cruciale. Il che tocca il futuro delle intese di coalizione: quella tra Letta e Conte nel centrosinistra; quella di Salvini con Giorgia Meloni e Berlusconi, a destra.

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