Il G7 alla guerra del cibo per salvare il grano di Kiev
Uski Audino
BERLINO. La crisi alimentare globale generata dalla guerra è il grande tema su cui si è concentrata l’attenzione di quest’ultimo G7 dei ministri degli Esteri a Weissenhaus, in Germania. Mentre sullo sfondo continua ad aleggiare irrisolto il «dramma» del sesto pacchetto di sanzioni sul petrolio – come l’ha definito il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba in veste di ospite – che vede l’Ungheria di Orban ancora contraria. Sul petrolio l’Europa rischia ancora una volta di dividersi e in quel caso «Putin potrebbe festeggiare», ha commentato Kuleba. Per il resto passa la linea del «more of the same», continuare e potenziare il sostegno dell’Ucraina, con un’ulteriore iniezione da 500 milioni di euro per l’acquisto di armi pesanti, esclusi i velivoli da combattimento richiesti da Kiev.
Ma non sono le armi la novità del vertice. Ad attrarre l’attenzione dei ministri è un fantasma antico diventato concreto, è lo spettro della fame, che minaccia di estendersi su scala globale. Al momento sono 25 milioni le tonnellate di grano bloccate nel porto di Odessa, ha detto la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock. Ma il bilancio è destinato a salire, avverte Kuleba. Il problema è logistico: «Stiamo lavorando con Ue, Onu e G7 sulla logistica per fare in modo che sia possibile che quantità sufficienti di grano raggiungano il mercato globale nel più breve tempo possibile» perché se questo non accade «l’intero ciclo agricolo può venire interrotto provocando una crisi sistemica», ha spiegato il ministro ucraino. Il problema – continua – è che «se non vendiamo quello che abbiamo in magazzino, non abbiamo posto per stoccare i nuovi raccolti che stanno arrivando». Il porto di Odessa non solo è minacciato dalle bombe «ma il mare davanti alle costa è pieno di mine e nessuna compagnia marittima al momento si assume il rischio di assicurare una nave in partenza da Odessa, per non parlare dei costi», rivela una fonte diplomatica dell’Ue. Per questo l’unica possibilità è far uscire il grano con i treni, un’operazione per cui mancano infrastrutture adeguate e tempistiche sostenibili. La conseguenza non è solo un rialzo dei prezzi del grano, ma il rischio di non potere rifornire i Paesi che più ne dipendono, come Medio Oriente e in Africa. «Rischiamo che possa scoppiare una guerra mondiale del pane», ha detto il ministro Luigi Di Maio a margine di bilaterali con Ucraina, Moldavia, Germania e Regno Unito. «I Paesi africani stanno vedendo crescere la loro insicurezza alimentare» e «questo ha un’influenza sui flussi migratori». Per questo bisogna «sostenere un’alleanza mondiale sulla sicurezza alimentare» e in questo senso ci si sta muovendo insieme alla Fao, dove il prossimo mese si terrà un’iniziativa su questo tema.
A questo si aggiunge che il rialzo dei costi del grano e la sua scarsità potrebbero avere un riverbero importante e pericoloso sulla percezione nei Paesi africani e in Medio Oriente di quanto sta accadendo in Europa. La propaganda russa sta soffiando sul fuoco del risentimento dei paesi poveri nei confronti del «ricco Occidente», insinuando la tesi che siano le sanzioni alla Russia e non l’aggressione della Russia a determinare la penuria di grano. Per questo tutti i ministri, da Baerbock a Le Drian, hanno sottolineato che «l’aggressione dell’Ucraina è la ragione per la crisi alimentare oggi», come ha detto a chiare lettere Kuleba. L’Europa, del resto, commenta l’alto rappresentante per la politica Estera Ue Josep Borrell, ha il compito di comunicare di più e meglio i suoi obiettivi, di essere più umile e confrontarsi di più con Sudamerica, Africa e Medio Oriente per evitare di alimentare la narrativa del risentimento.
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