Se il Paese va verso il voto più difficile della storia
Montesquieu
Questa Italia alla vigilia delle elezioni più difficili della sua storia. È il momento di distogliere l’attenzione incollata al macabro spettacolo quotidiano della guerra, e alla pietà che suscitano le atrocità che questa ci riserva in un crescendo senza fine. In opportuna assenza di sondaggi specifici, pietà generale, ci si sforza di immaginare. Perché, quasi senza accorgercene, calamità dopo calamità, ci troviamo alla vigilia delle elezioni generali: senza enfasi, le più complicate del nostro tragitto di democrazia. Definire la situazione seria, è un eufemismo, senza alcuna relazione con la realtà. Anche se fortunate coincidenze e scampoli di saggezza parlamentare sopravvissuti all’avanzata di varie venature del populismo hanno permesso di mantenere in sicurezza la massima istituzione di garanzia, il capo dello Stato; e quindi la sua prerogativa di scegliere, ricorrendone le condizioni, la guida il governo. A questa duplice protezione costituzionale si aggiunge, nella rotazione fortunata dei criteri di mera anzianità di ruolo adottata dalla Corte costituzionale , un presidio altrettanto saldo alla guida di quest’ultimo organismo. Chi vuole, può immaginare una simile tumultuoso frangente di mediocrità politica e calamità a raffica affrontato dentro quel sistema presidenziale che in tanti abbiamo agognato dai tempi dei referendum di Mario Segni , e che oggi, personalmente, siamo sollevati di avere evitato. Grazie alla grande, tranquilla saggezza della democrazia rappresentativa: che, al di là delle superficiali apparenze e di una diffusa demagogia, è democrazia almeno quanto la democrazia diretta. Quella che più facilmente viene intaccata dal rischio mortale della concentrazione dei poteri, o comunque delle avventure personali.
Comunque, e ovviamente per fortuna, i partiti ci sono, anche se in nulla ricordano, salvo eccezioni, quell’insieme di requisiti e garanzie disegnato dall’art. 49 della Costituzione; e si preparano alle elezioni per riottenere quello che, nella loro soverchiante e prevalente approssimazione costituzionale , verrebbe loro tolto grazie ad un sistema di abusi costituzionali che tale diviene solo quando ne rigetta le aspettative. Basta ricordare le proteste di piazza contro la formazione di governi perfettamente legittimi : tutti quelli di questa legislatura. Basta osservare l’azione di quell’ autentico comitato nazionale che si agita a difesa della nostra Costituzione e del nostro parlamento; composto da una stravariegata compagnia che contiene perfino giuristi, ma anche leader che non molto tempo fa invocavano pieni poteri in piena democrazia; che rigettavano la chiamata delle camere per riferire sui rapporti con potenze straniere, con la disarmante ma istruttiva motivazione che nulla avevano da dire; ma soprattutto una inquietante e ubiqua compagine di “estremisti estremi”, accomunati da una costante attitudine vocazionale al negazionismo di piazza e di talk show, su qualsiasi tema o problema. Sono riapparse inopinate e anacronistiche fisionomie che si pensavano sepolte dalla stagione coraggiosa e difficile(oggi si vede quanto) dell’eurocomunismo berlingueriano, fisionomie riproduttive di sovietismi da guerra fredda. Fisionomie ricomparse fisiologicamente a sinistra, e paradossalmente spuntate a destra, in una geografia confusa che le rende indistinguibili e potenzialmente alleate. Non si intravedono invece, nel panorama, combinazioni coalizionali programmatiche se non approssimative, e del tutto inidonee, per competenza, solidità ed esperienza vissuta, a governare un paese anche in tempi tranquilli. Figuriamoci in tempi come questi.
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