Quei martiri destinati alla fine

Paolo Guzzanti

Penso a quel migliaio di giovani che stanno per morire come topi nelle gallerie dell’acciaieria di Mariupol. Le loro giovani mogli belle e composte e non piangono in pubblico. Parlano dei mariti con orgoglio ma a voce bassa e vorrebbero vederli tornare vivi dal momento che la loro morte non è necessaria alla guerra. Ma i russi hanno deciso che devono morire e sigillano e spendono milioni di rubli pur di ammazzarli tutti non perché siano soldati nemici – del Paese che hanno illegalmente invaso e che quei soldati hanno difeso.

Abbiamo visto mille volte sugli schermi i loro comandanti emaciati e feriti vacillanti affamati e malati di tutte le malattie che si possono prendere in un cimitero sotterraneo. Gli invasori vogliono che restino morti nella loro necropoli. Hanno supplicato in nome delle leggi di guerra di poter uscire ed essere trattati come prigionieri, ma da Mosca è arrivato un fortissimo «njet»: non se ne parla nemmeno perché per Mosca quelli non sono uomini ma bersagli da tirassegno. Sono il battaglione Azov e dichiarati nazisti, loro che sono nati trent’anni fa mentre il nazismo è morto quasi da ottanta.

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