Carfagna e Meloni, le due duellanti
Quasi coetanee, una lunga conoscenza fin da quando entrarono matricole alla Camera – l’una dopo una lunga militanza politica, l’altra dopo l’esperienza da soubrette tv che le venne a lungo rinfacciata – un governo in comune, quel quarto esecutivo Berlusconi in cui dal 2008 al 2011 la Meloni fu ministra della Gioventù e la Carfagna delle Pari opportunità, partita tra qualche diffidenza e arrivata tra le lacrime dell’allora deputata Pd Paola Concia, omosessuale dichiarata, «mi ha aiutata a sfondare il muro della diffidenza», la ringraziò pubblicamente la ministra. Hanno condiviso pure il partito, il Pdl, nato sul predellino di un’auto e destinato ad essere archiviato come esperimento fallito in poco più di quattro anni: Meloni però era già uscita, il partito se lo era costruito su misura, quei Fratelli d’Italia che oggi ambiscono a guidare tutta la coalizione.
I rapporti tra le due sono formalmente buoni, assicurano da entrambe le parti, eppure la Meloni qualche riserva ce l’ha: sono anni, ha confidato ad amici, che non si capisce cosa la ministra voglia veramente fare. Mara Carfagna è sempre rimasta in Forza Italia, pur con degli sbandamenti evidenti e la tentazione di un raggruppamento centrista. «Non frequenta più il partito, non viene mai alle riunioni di gruppo, nemmeno sui suoi social c’è mai il nostro simbolo», denunciano la sua distanza dal partito di Berlusconi, lì dove lei è lontana anni luce dai reggenti Licia Ronzulli e Antonio Tajani; già anima anti-populista di quell’area («le sembrerà strano, ma le regole valgono anche per lei», sbottò contro Salvini ministro una volta che lei presiedeva la Camera) e oggi protagonista della corrente di governo, anche se pure con la collega Mariastella Gelmini i rapporti non sono sempre stati idilliaci. «Vuole essere la più amata del centrodestra, punta al premio della critica», sbuffa chi non la stima. In passato ci sono state prove di avvicinamento con Matteo Renzi, fu tentata di strappare insieme a Giovanni Toti, ha pensato a lei come interlocutrice privilegiata Carlo Calenda, «sa interpretare al meglio un partito popolare moderno ed europeista», ebbe a dire. «Ma Mara non avrà mai il coraggio di fare un salto senza l’approvazione di Berlusconi», è un coro tra i forzisti. Quale possa essere l’approdo, è ancora tutto da vedere. Quello che è certo, sono i riflettori di Sorrento.
LA STAMPA
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