Le nostre occasioni
Poco o nulla è stato fatto sulle riforme strutturali più importanti, dalla concorrenza alla riforma fiscale, per le quali si sono registrati arretramenti da parte del governo che da questo governo non ci saremmo aspettati. Così l’Italia sta sprecando forse l’ultima seria occasione per avvicinarsi ad essere una moderna economia sociale di mercato. Non migliora il mercato, perché si è molto timidi nell’ampliare la concorrenza. E peggiora il sociale, perché ci si rifiuta anche solo di considerare forme di imposizione capaci di attenuare le «inaccettabili» diseguaglianze sociali, che in realtà tutti — partiti e governo — accettano tranquillamente.
Quanto alla finanza pubblica, condivido la posizione del presidente Draghi e del ministro Franco: non più scostamenti di bilancio, dopo quelli ampi degli ultimi tempi. Spero che non cederanno alla pressione della loro maggioranza. Nelle scorse settimane, in Senato solo il sottoscritto, tra quanti sostengono questo governo, non ha votato a favore del Def e ha segnalato che esso prefigurava ulteriori scostamenti. Se si scuciono sempre più le tasche di Pantalone — mi si passi l’immagine poco consona a queste colonne — mai i partiti si metteranno d’accordo su una riforma fiscale. Salvo che si tratti, un giorno, dell’abolizione del Fisco.
Di fronte allo stato non brillante della politica economica italiana Carlo Cottarelli ( La Stampa, 12 maggio), la cui competenza e buon giudizio ho sempre ammirato, fa una proposta che invece non condivido per nulla: si vada alle elezioni. No, io penso che dovremmo tutti rispettare di più le istituzioni e ciascuno il suo ruolo. Non vorrei che l’Italia perdesse un altro anno dopo i mesi persi per le dispute sul Quirinale.
I partiti puntano i piedi? La stabilità politica è un valore in sé ed è consigliabile che un premier accresca la propria accondiscendenza per non metterla a rischio? È anche in questo modo che nei decenni la politica ha costruito un debito pubblico così elevato. No. Io confido che il presidente Draghi, consapevole della propria forza riconosciuta in Europa e nel mondo, la spenda tutta anche in Parlamento e con i partiti. So che non è piacevole rimboccarsi le maniche per quegli scontri, che possono anche comportare escoriazioni e perdite di consenso e di popolarità. Certo che è sgradevole. Ma sono certo che se Draghi e il governo dicessero più spesso di no ai partiti, appellandosi direttamente all’opinione pubblica, qualunque partito ci penserebbe due volte, prima di essere quello che ritira la fiducia e fa cadere questo governo.
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