Gas, dipendenza dalla Russia: i veri errori dell’Italia
Le rinnovabili non decollano
Circa il 30% del gas importato viene utilizzato per produrre elettricità (25,9 miliardi di metri cubi nel 2021, dato Arera). L’idroelettrico in Italia è molto sviluppato, ma lo sfruttamento di corsi d’acqua con turbine e alternatori negli ultimi decenni viene trascurato, e si passa dai 50 mila GWh del 2000 ai 49 mila del 2020. Il fotovoltaico, dopo un impulso iniziale, da 10 anni non cresce più in modo significativo. L’eolico è praticamente fermo da 5 anni. Troppa burocrazia e ostacoli da parte degli enti locali. Cresce poco anche il geotermico, in grado di sfruttare l’energia che viene dal sottosuolo, e l’utilizzo del biogas.
Import: da un regime all’altro
Quindi adesso le forniture russe verranno sostituite aumentando l’import dagli altri fornitori storici. Ma sarà possibile a partire dal 2023 perché ogni Paese deve rispettare i contratti in essere con altri Stati. L’Algeria è pronta ad assicurare fino a 9 miliardi di metri cubi annui in più (visita di Draghi 11 aprile). Va ricordato che è un Paese autoritario e sempre sull’orlo di tensioni sociali con elevato tasso di disoccupazione, repressione delle proteste, restrizioni legali alla libertà dei media e corruzione dilagante (qui il documento): il Democracy Index 2021 lo mette al 113° posto (la Russia è al 124°). È tra i 35 Paesi che si sono astenuti al voto dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite contro l’invasione della Russia in Ucraina. Dall’Azerbaijan entro fine anno arriveranno 2,5 miliardi di metri cubi addizionali via Tap. Uno Stato comandato dalla famiglia Aliyev da 30 anni, con il potere che si tramanda di padre in figlio fra contestazioni e moti di protesta (qui il documento).
Gli accordi africani
Per quel che riguarda i rifornimenti di gas liquefatto via navi metaniere abbiamo trattato con il Congo e l’Angola (visitati il 20-21 aprile) che possono aumentare i rifornimenti di 6 miliardi di metri cubi. In Congo, da 25 anni al potere c’è il militare Denis Sassou Nguesso: il suo governo usa regolarmente le forze armate e di polizia per intimidire i cittadini (qui il documento), mentre la sua famiglia fa shopping di lusso con i proventi del petrolio. In Angola, dove si è trascinata fino al 2002 un’incessante guerra civile tra il movimento filosovietico al potere e quello filooccidentale, ancora si lotta per l’indipendenza nella Regione del Cabinda (qui il documento). Dal Qatar, che non ha mai chiarito i rapporti con il terrorismo islamico, prenderemo 5 miliardi di gnl in più (5-6 marzo). Dall’Egitto già dal 2022 arriveranno verso Ue e Italia 3 miliardi di metri cubi. L’Egitto è il Paese dove è stato torturato e ucciso il ricercatore Giulio Regeni, ma le autorità non hanno mai collaborato per trovare i colpevoli. Rimane irrisolto il problema dei rigassificatori: li riempiremo invece di sfruttarli a metà, ma per costruirne di nuovi ci vuole tempo.
Che sia la volta buona?
Possiamo sperare invece che Enti locali e sovrintendenze la smettano di mettersi di traverso su parchi eolici e fotovoltaici anche quando i progetti hanno tutte le carte in regola? È il caso di ricordare la crisi petrolifera del 1973 scatenata dalla guerra del Kippur che coinvolse Israele, Egitto e Siria. I Paesi arabi produttori di petrolio fecero esplodere i prezzi e applicarono l’embargo nei confronti dei Paesi filoisraeliani, portando in Europa il crollo dell’economia e austerità fino alla fine degli anni ’70. Ma da quella crisi si cominciò a parlare di «ecologia» e «risparmio energetico», simboli di un cambiamento di mentalità sociale e della vita di tutti i giorni. La guerra di oggi ci costringerà ad accelerare questo processo.
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