La lezione del Vietnam

Lucia Annunziata

«Dopo le elezioni del 1968, Nixon mi invitò presso il suo quartier generale al Pierre Hotel di New York. Mi parlò della situazione internazionale per circa 2 ore − sapevo che voleva qualcosa da me, anche se non capivo cosa. Una settimana dopo, John Mitchell, uno degli uomini più vicini a Nixon in quel periodo, mi chiamò per chiedermi se accettavo l’incarico. Io gli chiesi: quale?».

Un dettaglio in questo ricordo di Henry Kissinger è significativo. Colui che diverrà poi il più influente segretario di stati Usa del secolo scorso, viene convocato da Nixon, lui stesso uomo che avrà una per altri versi indimenticabile presidenza, all’Hotel Pierre di New York, invece che alla Casa Bianca. Fin da allora i due, come racconterà ancora Kissinger, avevano un lato in comune molto forte: una forte inclinazione alla segretezza. Kissinger lo racconta allo storico Niall Ferguson, che lo intervista nel 2011, per un documentario di National Geographic Channel, i cui estratti saranno poi riportato dalla rivista Limes.

In questo complicato momento in cui l’equilibrio fra eserciti in Europa, fra Ucraina e Russia, sembra in stallo, e molti Paesi fra cui l’Italia, presentano proposte di trattative, è interessante rileggere questa intervista che ricostruisce la storia di un accordo di pace che è forse il più rilevante nella formazione dell’equilibrio della guerra fredda.

Nel gennaio del 1969 alla Casa Bianca entra Richard Nixon, nuovo Presidente degli Stati Uniti. In Vietnam ci sono 541 mila soldati americani. Nixon vede un pericolo comunista allargarsi nel mondo: «In quell’anno, la protesta (interna nda) era diventata agguerrita e violenta. A livello internazionale, non avevamo rapporti con la Cina. I rapporti con l’Unione Sovietica erano congelati e i russi stavano costruendo una base sottomarina a Cuba. Quindi il presidente non era paranoico quando parlava di un problema di matrice comunista nel mondo», Kissinger giustifica le paure.

Negoziati c’erano, ma si trascinavano in un sostanziale senso di inutilità, avendo come base di partenza posizioni irriconciliabili. I delegati Viet Cong, ad esempio, non riconoscevano la legittimità del governo sud vietnamita; e chiedevano il ritiro delle truppe statunitensi. Gli Usa chiedevano il riconoscimento della sovranità del Sud da parte del Nord. La guerra dura in effetti dal 1955. Eppure nel 1973, quattro anni dopo l’inizio della Presidenza Nixon, trova un accordo, un trattato di pace che pareva impossibile.

Come riesce questo trattato? Nella intervista a Kissinger, c’è la risposta. La ricetta, è, per i gusti “politici” di oggi, cioè per le democrazie con aspirazione alla “trasparenza”, particolarmente indigesta. I metodi e i mezzi impiegati risultano spesso brutali.

I due negoziatori sono, intanto, di quelli che nascono una volta ogni secolo. Le Duc Tho era un rivoluzionario comunista vietnamita, «ostinato e impeccabile», ricorda il Segretario di Stato, «il suo compito non era negoziare. Il suo compito era spezzare la nostra volontà, sfruttando le nostre divisioni interne. In America venivamo costantemente accusati di non volere un accordo». Vi ricorda qualcosa di oggi, questa affermazione?

Kissinger ha però una nuova diplomatica dalla sua parte: i negoziati segreti. Secondo la passione e convinzione del Presidente Usa in carica. «Il Vietnam del Nord pretendeva il ritiro incondizionato delle truppe americane. In pratica si parlava di una resa, cosa che non era, ovviamente accettabile. Era l’unica possibilità che avevamo, ma era inconcepibile. Nell’agosto del ’69 iniziammo una serie di incontri segreti a Parigi con i nord vietnamiti. Ero giunto alla conclusione che la guerra non potesse essere vinta sul campo, per questo volevo negoziare».

Rating 3.00 out of 5

Pages: 1 2


No Comments so far.

Leave a Reply

Marquee Powered By Know How Media.