Gentiloni: “Chi è al governo non freni sulle riforme, senza il Recovery si rischia la recessione”
ALEX BARBERA
Paolo Gentiloni ripete il concetto più volte, per essere sicuro che il cronista lo registri. «Siamo in un mondo molto diverso da quello di tre mesi fa. Oltre a distruggere l’Ucraina l’invasione russa ha cambiato verso all’economia mondiale. Quella che era un’espansione è diventata una frenata globale. E per l’Italia in questo nuovo contesto il piano nazionale delle riforme è l’antidoto al rischio della stagnazione. Anzi, si potrebbe dire che senza l’attuazione del Recovery Plan l’Italia rischia la recessione». Finché c’è stata la pandemia il commissario italiano all’economia ha avuto vita facile: nessuno metteva in discussione la necessità di nuovo debito a sostegno della crisi. Ora nella crisi ci siamo di nuovo, ma stavolta l’Unione deve fare i conti con un problema «che non si vedeva dal secolo scorso»: l’inflazione.
Commissario, da qualche settimana lei mette in guardia l’Italia dal chiedere nuova spesa corrente. Però la crisi è grave, e la politica se ne deve fare carico. Perché tanta prudenza?
«La forte ripresa prima e la guerra poi hanno stravolto il quadro. Se pensassimo di essere ancora in una fase in cui sono possibili sostegni di ogni tipo credo prenderemmo un abbaglio. Non sto teorizzando il ritorno all’austerity, ma quello che abbiamo fatto durante la pandemia non è più possibile, per almeno due ragioni. La prima: non è necessario. Due: sarebbe un azzardo. La forte crescita dei prezzi e il probabile aumento dei tassi di interesse entro l’estate sono due fattori con i quali siamo costretti a fare i conti».
Insomma non ci resta che spendere bene quel che possiamo. Oltre al deficit concordato per quest’anno c’è l’attuazione del Recovery Plan, che però è complicata. I partiti non vogliono le riforme, e quando le accettano poi è difficile spendere i soldi. Da ex premier ha consigli per Draghi?
«Draghi ha messo l’attuazione del piano al centro del suo impegno, con chiarezza e determinazione. È necessario che l’intera classe dirigente prenda atto del contesto, e vedo una certa fatica al riguardo. Lo capisco: negli ultimi due anni abbiamo tenuto in vita l’economia con un sostegno universale. Oggi però non si può più. Tutti stanno uscendo da questa logica, e i Paesi ad alto debito sono ancor di più richiamati a farlo».
Una strada ci sarebbe, a vantaggio di tutti. Allargare gli strumenti di debito comune. Francia e Italia insisitono per farlo, ma incontrano resistenze. Sbaglio?
«Il pacchetto approvato questa settimana sull’energia e che rafforza il Recovery Plan è un primo contributo in questa direzione».
In gran parte però si tratta di fondi inutilizzati del precedente piano. Non proprio uno sforzo all’altezza della crisi.
«Certo che non basta. Se guardo all’insieme degli investimenti necessari per la transizione ecologica e digitale, per l’indipendenza energetica e per la ricostruzione dell’Ucraina, sarà inevitabile in futuro porsi il problema di come contribuire anche con nuove risorse comuni. Oggi il punto è tuttavia far funzionare il primo, storico, strumento a disposizione che è il Recovery Plan. La discussione non è se renderlo permanente. Sappiamo che se avrà funzionato, sarà riproposto lo stesso metodo per obiettivi diversi. E qui torniamo alla responsabilità italiana: il trenta per cento delle risorse finora allocate sia con il Pnrr che con i prestiti “Sure”, sono andati all’Italia».
A fine maggio e a giugno ci saranno due importanti vertici dei Ventisette. L’Italia spinge per introdurre almeno prestiti europei utili a finanziare il caro energia. Il costo del finanziamento sarebbe comunque inferiore a quello necessario a vendere titoli di Stato. Ci sono margini perché la proposta passi?
«In una certa misura è già nel piano della Commissione. Ma il grosso verrà dai bilanci dei singoli Paesi e occorrono risposte mirate e temporanee. Nei primi quattro mesi di quest’anno i Ventisette hanno speso mediamente lo 0,6 per cento della ricchezza a sostegno del caro energia. Altre misure possono arrivare, ma – ripeto – devono essere mirate. Le famiglie più vulnerabili sono quelle che spendono un pezzo di reddito in benzina ed elettricità. Ma una cosa è aiutare loro, altro è immaginare altre misure permanenti o universali, magari a sostegno delle energie fossili che diciamo tutti di voler superare».
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