Gentiloni: “Chi è al governo non freni sulle riforme, senza il Recovery si rischia la recessione”
A proposito di spesa in deficit: non è ancora chiaro come verrà riformato il patto di Stabilità. Quando arriverà la vostra proposta?
«Dopo l’estate. E’ un tema difficile, ma abbiamo fatto passi avanti. Lo sforzo per evitare il ricrearsi di opposte e inamovibili trincee mi pare possa funzionare. Vedremo».
Nel frattempo ci sono le vecchie regole, per le quali vale un principio molto discrezionale. Si andrà avanti così fino all’approvazione delle nuove?
«Lunedì presenteremo le raccomandazioni specifiche per Paese e daremo indicazioni anche ssu questo».
Torniamo al piano per l’energia che avete appena presentato. Quante sono le risorse a disposizione?
«La settimana scorsa abbiamo presentato nuove linee guida sull’uso dei fondi per quello che sarà un nuovo capitolo dei piani nazionali. Ci saranno a disposizione trasferimenti a fondo perduto e prestiti in parte nuovi, in parte inutilizzati. Sulla carta sono 220 miliardi, ma ora con l’aumento dei tassi c’è chi farà domanda per la parte inutilizzata del Recovery dedicata ai prestiti. L’Italia, la Romania e la Grecia sono gli unici Paesi che hanno attinto a tutti i fondi ai disposizione. La Spagna chiederà settanta miliardi, e probabilmente si aggiungeranno altri. Realisticamente a disposizione ci sarà, oltre ai trasferimenti, circa la metà di quei 220 miliardi».
Cambiano anche le regole per attingere ai finanziamenti? L’industria italiana lamenta al difficoltà di far fronte all’aumento dei costi per gli appalti.
«Abbiamo presentato due emendamenti. Il primo permetterà, per il nuovo capitolo del piano, l’utilizzo di risorse anche per alcune fonti di energia come il gas liquefatto. L’altra modifica riguarda le modalità attraverso le quali chiedere aggiustamenti in relazione all’inflazione e ai costi delle materie prime. Ma sono modifiche che servono a rendere il piano più efficace, non a rifarlo da capo. Fa bene il governo a ribadire che il Recovery resta nel complesso quello che è».
Dopo il pasticcio sul pagamento del gas in rubli, ora scopriamo che l’Italia – lo ha scritto il Financial Times – da febbraio avrebbe quadruplicato l’import di petrolio russo, il cui embargo è bloccato da un veto ungherese. Possibile sia così difficile per l’Unione prendere decisioni coraggiose in questo senso?
«Delle quote di energia importata non abbiamo visibilità, sono scelte dei singoli Paesi. In quanto alle sanzioni, stiamo ancora lavorando al sesto pacchetto che come è noto prevede anche l’embargo graduale del petrolio russo. Purtroppo il meccanismo non è ancora stato condiviso da tutti. Certo è che dobbiamo porre fine alla dipendenza energetica dalla Russia. Nei nostri piani la riduciamo dei due terzi già da quest’anno, del tutto nel 2027. L’acquisto comune di gas come fonte transitoria ci farebbe fare un grande passo in avanti, ma c’è da parte di molti riluttanza, scetticismo e competizione».
Ora parliamo degli Stati Uniti. Come si costruisce l’autonomia strategica dell’Unione da Washington?
«L’Unione deve restare saldamente alleata agli Stati Uniti, non deve rinunciare alla sintonia con la Nato ma allo stesso tempo è urgente dotarci di una difesa comune. E poi: autonomia energetica e politica industriale europea. So che ad alcuni potrà sembrare una bestemmia, ma il tradizionale modello basato sulla competizione fra Paesi e l’apertura all’esterno deve adattarsi a un mondo in cui le catene del valore devono essere accorciate. L’unico fiore all’occhiello di una politica industriale europea non può essere Airbus».
Sta teorizzando la fine della globalizzazione?
«Ma figuriamoci. Quella europea è un’economia aperta, e chiusure autarchiche sono impensabili. Ma occorre una globalizzazione che definirei più sicura. Bisogna garantire l’autonomia delle grandi filiere produttive, le quali non possono dipendere semplicemente dai prezzi più bassi disponibili nel mondo. Penso ai microprocessori, ma anche all’estrazione di materie prime come il nichel o il cobalto (di cui la Cina ormai detiene il controllo, ndr). Tutto il mondo occidentale sta ragionando su questo».
Un’ultima domanda. Il capo della diplomazia europea Josep Borrell non si è mostrato entusiasta della proposta di pace avanzata dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio all’Onu. Dice che prima di ogni cosa occorre la tregua incondizionata dei russi. Lei che ne pensa?
«Sono d’accordo con il presidente Zelensky che solo la diplomazia che può creare le condizioni per la pace. Ogni proposta negoziale è utile. Poi come ha ricordato il premier Draghi le condizioni per trattare possono crearle solo i grandi player globali, Stati Uniti, Cina e Unione europea. Qualche segnale positivo si intravede, come il contatto fra il Pentagono e il ministero della Difesa russo. Le condizioni perché alla tregua ci si arrivi davvero sono però ancora tutte da costruire e l’ultima parola spetterà al paese aggredito».
LA STAMPA
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