Il Milan nel nome di Ibra. La città del tricolore rossonera come il Duomo

Elia Pagnoni

Il Milan nel nome di Ibra. La città del tricolore rossonera come il Duomo

Reggio, la città del tricolore. La scritta campeggia sotto il marchio del Mapei Stadium. Alla gente rossonera sembra il segno del destino in uno stadio tutto rossonero, mentre i 2.100 abbonati del Sassuolo sono relegati in un angolino a casa loro, come se fossero a San Siro dove li confinano al terzo anello. Diciottomila milanisti (compreso l’immancabile Matteo Salvini) dentro il Mapei, ma tanti anche fuori, senza biglietto, controllati a fatica dalla polizia. In tribuna è schierata la solita nomenklatura milanista: Massara, Maldini, Gazidis, Gordon Singer, per la prima volta persino papà Paul, il vero padrone del club, un signore che dalle nostre parti non si era mai visto e che evidentemente non deve fare i conti con la scaramanzia.

La festa inseguita da undici anni comincia così (proseguirà oggi con l’appuntamento a Casa Milan e poi con il giro d’onore per le vie della città fino a piazza Duomo), l’attesa cresce ma tutta la sfida è un crescendo. Primo gol di Giroud, primo boato, qualche signora piange di gioia. Raddoppio di Giroud, standing ovation, piangono anche gli uomini. La pressione cresce, l’Inter è inchiodata sullo 0-0, la gente freme. Segna Kessie, fa il saluto militare, un omaggio alla curva perché sa che è la sua ultima volta. E la curva lo perdona perché lo scudetto cancella tutto, non si spreca nemmeno un coro contro il solito Calhanoglu.

Nell’intervallo è già 3-0 e tanto potrebbe bastare per far partire le feste. Piazza Duomo a Milano è già imbandierata di rossonero, ma i più scaramantici ricordano un altro 3-0 a metà partita finito in catastrofe. Se non fosse che dall’altra parte quella volta c’era il Liverpool, non il Sassuolo, e che questa volta persino l’improbabile 3-3 sarebbe un trionfo.

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