Ingresso Ucraina nella Ue: perché ci vorranno decenni

di Francesco Battistini e Milena Gabanelli

Il primo di marzo, una settimana dopo l’inizio dell’invasione russa, Volodymyr Zelensky s’è collegato dal suo bunker di Kiev col Parlamento europeo, riunito in sessione straordinaria. È stata una giornata a suo modo storica: poche ore prima il presidente ucraino aveva firmato la richiesta d’aderire all’Unione Europea. E Strasburgo – con 637 sì, 13 no e 26 astenuti – in quella data ha esortato i 27 Paesi dell’Unione a concedere a Kiev «lo status di candidato membro dell’Ue». Tutti nell’aula si sono trovati d’accordo. Dopo tre mesi di trincea contro l’invasore Putin, che non vuole l’Ucraina nella Nato e neppure in Europa, Kiev ha ormai acquisito il diritto d’entrare nell’Unione. È il caso di ricordare che, nel 2013, il governo filorusso di Viktor Yanukovich rifiutò d’approvare un accordo d’associazione economica all’Ue – che impegnava l’Ucraina a fare riforme in cambio d’assistenza finanziaria e d’aperture sul mercato europeo – e bastò quel no a scatenare la rivolta di Maidan, la fuga di Yanukovich in Russia, l’annessione della Crimea da parte di Putin, l’inizio della guerra nel Donbass. Quell’accordo (richiesto dall’Ucraina e rimangiato da Yanukovich) approvato dal governo filo-occidentale di Porosenko è poi entrato in vigore nel 2017. Ed è una delle ragioni che hanno spinto il Cremlino all’invasione.

Dopo tre mesi di trincea contro l’invasore Putin, che non vuole l’Ucraina nella Nato e neppure in Europa, Kiev ha ormai acquisito il diritto d’entrare nell’Unione.

La richiesta di scorciatoia

Zelensky ha chiesto al Parlamento di Strasburgo anche una «nuova procedura speciale», cioè una scorciatoia per l’ingresso nell’Ue. Un’eccezione che nei trattati costitutivi dell’Europa, quello di Roma del 1958 e quello di Maastricht del 1993, non è mai esistita. «È una cosa giusta e ce la meritiamo» ha spiegato il presidente. Non si discutono i meriti. Ma quant’è reale la possibilità che l’Ucraina diventi, in tempi brevi, un membro dell’Europa? E com’è possibile che possa prendere scorciatoie un Paese attualmente in guerra, che non ha il controllo del suo territorio e dov’è impossibile stabilire in via definitiva se la Crimea sia Ucraina oppure no, o se il Donbass sia una regione autonoma? Intanto fiutando la possibilità d’una procedura accelerata, alla richiesta di Zelensky si sono accodate anche la Georgia (il 3 marzo) e la Moldova (il 5 maggio). Non basta però bussare, per essere accolti.

Zelensky ha chiesto al Parlamento di Strasburgo anche una «nuova procedura speciale», cioè una scorciatoia per l’ingresso nell’Ue.

I tempi di ingresso nella Ue

Il passaggio successivo è dunque quello di ottenere lo status di candidato. Il Trattato di Maastricht, all’articolo 2, prevede che alla base dell’accesso ci sia la condivisione dei «valori comuni». A valutare è la Commissione, che normalmente impiega anche un anno e mezzo. La Bosnia ha presentato la domanda di adesione nel 2016, ma ancora oggi non ha ottenuto lo status di candidato. La commissaria Ursula von der Leyen ha detto però che gli ucraini «ci appartengono e condividono i nostri valori», per questo si è impegnata a pronunciarsi entro giugno. Ma dopo la Commissione, a esprimersi all’unanimità dev’essere il Consiglio europeo che, a sua volta, informa i parlamenti nazionali dei 27 Paesi membri. A quel punto è il Parlamento europeo, con un voto a maggioranza, a conferire lo status di candidato. Che ancora non significa l’ingresso automatico in Europa: la Turchia è candidata dal 1999, ma è ferma là, perché l’Ue ha preso tempo e perché il presidente Erdogan – tra violazioni dei diritti umani e islamizzazione di Stato – non ha mai fatto un solo passo per andare verso i requisiti richiesti. Entrare nell’Ue richiede una procedura lunghissima. Vediamo.

I negoziati

Ottenuto lo status di candidato, seguono i negoziati su 35 materie, poiché le leggi del Paese candidato devono armonizzarsi a quelle comunitarie. Dal fisco alla giustizia, istruzione, sanità, sistema bancario, politiche energetiche e agricole, dogane, trasporti, diritti umani, ambiente, regole sugli alimenti e sulla veterinaria. Quando tutta la trafila e le verifiche sono terminate, il trattato d’adesione dev’essere approvato all’unanimità dal Consiglio Ue e a maggioranza dal Parlamento europeo. Infine, sul via libera definitivo all’ingresso in Europa, si devono pronunciare i Parlamenti nazionali dei 27 Stati membri che sono chiamati a ratificare con le solenni procedure richieste per qualsiasi trattato internazionale. Questi negoziati durano anni perché, sui 35 capitoli, il Paese candidato deve spesso confrontarsi in trattative bilaterali coi singoli Stati membri, quindi riferire alla Commissione europea che, di volta in volta, fissa i parametri per ogni capitolo e le date per il raggiungimento degli obbiettivi in ciascuna delle 35 materie. Alla Croazia per esempio, che dalle guerre balcaniche degli anni Novanta era uscita da un bel pezzo, è servito un intero decennio.

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