Ingresso Ucraina nella Ue: perché ci vorranno decenni

I casi Albania e Macedonia

La via dell’allargamento dell’Unione europea è a volte così tortuosa che sono le stesse istituzioni comunitarie a stupirsene: il 22 aprile la commissione Esteri del Parlamento europeo s’è «rammaricata» perché l’Albania e la Macedonia del Nord siano ancora così lontane dal traguardo. Le loro risposte al questionario per il riconoscimento dello status di membro, che Zelensky svela d’avere «completato in poco più d’una settimana», hanno richiesto anni e han riempito decine di volumi: da Tirana e da Skopje ci vollero diverse persone per trasportare tutto quel materiale a Bruxelles. «Qualche giorno fa – racconta il presidente della commissione Esteri della Camera, Piero Fassino – l’ambasciatore macedone mi ha chiesto: scusate, ma per entrare in Europa dobbiamo farci invadere anche noi da Putin?».

Chi spinge e chi frena

Sulla procedura rapida per dare all’Ucraina lo status di candidato tutti sembrano d’accordo. «Anche a costo di lavorare 24 ore al giorno per sette giorni alla settimana» dice Ursula von der Leyen. Ma le cose cambiano quando s’ipotizzano le tappe successive, quelle dei negoziati. Ed è il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ad ammettere che sulla faccenda «ci sono opinioni e sensibilità diverse. A favore di un ingresso accelerato dell’Ucraina spingono l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, la Bulgaria, la Repubblica Ceca, la Slovacchia e la Slovenia. Protestano apertamente quei Paesi che da anni stanno negoziando ma non sono ancora riusciti ad entrare: la Macedonia del Nord ha ottenuto lo status nel 2005, il Montenegro nel 2010, la Serbia nel 2012 e l’Albania nel 2014. Sono più invece freddi invece sulla reale possibilità di ingresso dell’Ucraina in tempi rapidi la Germania, il Belgio, l’Olanda, il Lussemburgo e la Francia. Il presidente francese Macron ha ricordato che «dobbiamo essere chiari: anche se concediamo domani lo status di candidato, sappiamo tutti perfettamente che il processo durerà decenni».

Le ragioni della prudenza

Prima di tutto si deve arrivare alla pace e l’Ucraina dovrà definire la sicurezza dei suoi confini. Dovranno seguire gli aiuti per una ricostruzione che la Commissione ha valutato in 500 miliardi di dollari. C’è una risoluzione del Parlamento europeo che riguarda l’enorme gravità della corruzione nelle istituzioni ucraine. C’è il capitolo dati personali: l’Ucraina cede banche dati a Paesi che non hanno una legislazione sulla privacy. E oggi è fra i pochi Paesi al mondo dove la legge permette l’utero in affitto a fini esclusivamente commerciali. Entrando nell’Unione si trascinerebbe dietro Georgia e Moldova e l’esperienza già fatta dell’allargamento ad est, soprattutto con l’Ungheria e la Polonia, dimostra la difficile gestione della macchina burocratica e politica europea. Ma soprattutto, con i suoi 44 milioni di abitanti, diventerebbe per dimensioni e peso il quinto Paese dell’Ue.

E, di fronte a una nuova aggressione russa, avremmo l’obbligo di «aiuto e assistenza» che c’impone l’articolo 42 del Trattato europeo. Però l’Ue un esercito non ce l’ha. Insomma, oltre le dichiarazioni e le buone intenzioni, la strada da fare è lunga. dataroom@corriere.it

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