I cavalieri del grande centro tra pacifismi e nemici
Tre formazioni che non hanno un’autentica parentela con la storia della Prima Repubblica. Né — eccezion fatta (forse) per Forza Italia — con i filoni tradizionali della politica europea. Tre partiti che nel corso della loro vita hanno dato prova di non essere refrattari ai cambiamenti di orizzonte, di strategia e di alleanze. Anche repentini. E che, per il motivo di cui si è appena detto, hanno come tallone d’Achille il non potersi fidare l’uno dell’altro. Li accomuna, però, l’esibita devozione (intermittente nel caso di Salvini) nei confronti di Papa Francesco. Oltre a un’autentica passione per lo scostamento di bilancio, al non essere ossessionati dal rispetto delle regole europee (compresi gli impegni assunti con il Piano nazionale di ripresa e resilienza). In politica estera, sono uniti da un’ostinata ricerca di orizzonti sempre nuovi. Ad est, s’intende.
Questo Grande Centro è già oggi largamente maggioritario in Parlamento. E, se rimarrà intatta la legge elettorale, al momento della composizione delle liste sarà determinante per entrambi gli schieramenti, centrodestra e centrosinistra. Ma, anche se si adottasse un sistema proporzionale, questo insieme di partiti, nelle nuove Camere, avrà quasi certamente i numeri per condizionare ogni possibile maggioranza. A meno che, nel Parlamento rinnovato, non si costituisca un asse tra Fratelli d’Italia, il partito di Enrico Letta e quelli di Centro. Un asse — però — assai improbabile.
Quanto a chi fa affidamento sulle potenziali secessioni dei Di Maio, Gelmini o Fedriga, va osservato che nelle retrovie della sinistra e dello stesso Pd si annidano truppe di dubbiosi pronte a rimpiazzare gli eventuali secessionisti ricongiungendosi al M5S nel nome dell’ostilità agli Stati Uniti e alla Nato. Truppe peraltro già ben visibili.
In attesa delle elezioni del 2023, si può notare che il minimo comun denominatore di questo Grande Centro, oltre alla quasi esibita antipatia per la causa di Kiev, è una ben individuabile avversione nei confronti di Mario Draghi nonché dell’attuale governo. Si intravedono dunque per l’esecutivo draghiano settimane, mesi di inferno: il percorso di qui alla fine della legislatura sarà disseminato di trappole e mine.
Unico particolare trascurato dai nuovi «partigiani della pace» è l’impegno atlantista di cui, negli ultimi tre mesi, ha dato prova il Capo dello Stato. Un impegno manifestato senza dubbi, incertezze, esitazioni. E che, proprio per questo, potrebbe riservare qualche sorpresa.
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