Enrico Berlinguer, il comunista democratico
Federico Geremicca
Oggi Enrico Berlinguer avrebbe compiuto cento anni: e non è molto usuale il fatto che un anniversario che ormai dovrebbe esser materia per storici, rimandi – al contrario – un profilo di evidente attualità. Capita, in genere, per le vite che – in ogni epoca – continuano a rappresentare un esempio. O per le menti che abbiano accelerato il futuro, in una sorta di preveggenza. La parabola di Berlinguer racchiude, in fondo, entrambi gli aspetti. Mitizzati o contestati, certo. Ma sempre meno divisivi: il che, al tempo d’oggi, qualcosa vorrà pur dire.
Per qualche anno, subito dopo la sua scomparsa, ci si è abbandonati all’idea che l’empatia che accompagnava il suo ricordo fosse dovuta alle circostanze drammatiche della sua morte in diretta, quei colpi di tosse, lo strazio e la voce che manca in quell’ultimo comizio padovano. Una fine a suo modo eroica, e gli eroi – come si sa – sono sempre giovani e belli. Già i suoi funerali, del resto, rappresentarono un evento zeppo di altri piccoli eventi: a cominciare dall’inatteso omaggio di un “capomanipolo” fascista (Giorgio Almirante) al feretro di un capo comunista.
«Sono venuto a salutare un uomo onesto», si limitò a spiegare. Ma furono episodi come questo ad accrescere la stima e la simpatia bipartisan che hanno circondato a lungo il ricordo del Segretario del PCI: consegnandolo, però, a una memoria più eroica che umana, e relegandolo in una sorta di Pantheon dell’etica, con poco spazio per la passione e la caratura politica che avevano contraddistinto tutta la sua vita.
La lettura (o rilettura) dell’appena riedita biografia a lui dedicata (Vita di Enrico Berlinguer, di Giuseppe Fiori, con prefazione di Walter Veltroni) aiuta molto a contestualizzare pensiero e intuizioni del leader comunista, mostrandone la sorprendente attualità. Basterebbe rileggere le pagine, talvolta drammatiche, che ripropongono le tre linee guida – diciamo così – della sua azione politica: il lento distacco dall’Unione Sovietica («si è esaurita la spinta propulsiva») e la scelta favore della Nato; la ricerca di una larga unità politica, a cominciare da una nuova attenzione all’universo cattolico; l’approdo, infine, ad una «alternativa democratica» che avesse come fulcro e sua ragione l’affermarsi di una dilagante «questione morale».
Non c’è voluto molto perché la cronaca annunciasse la fondatezza di quelle intuizioni: cinque anni dopo la morte di Berlinguer, il Muro di Berlino cade a pezzi, causa il totale esaurimento della cosiddetta spinta propulsiva; a seguire è Tangentopoli a confermare quanto fosse estesa e devastante quella questione morale denunciata dal leader PCI; e qualche tempo dopo, l’approdo finale della lunga marcia di gran parte degli eredi di quella storia è stata appunto la nascita di un nuovo partito che tentasse di tenere assieme ex comunisti e cattolici.
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