Cingolani: “Un compromesso su petrolio e gas, Bruxelles non potrà fare di più”
ANNALISA CUZZOCREA
L’Europa era partita con l’idea di bloccare l’importazione di petrolio e gas russi, «ma quello a cui potrà arrivare è soltanto un compromesso». Roberto Cingolani risponde dall’aeroporto, mentre è in partenza per il G7 dei ministri del Clima, dell’Energia e dell’Ambiente di Berlino.
L’Europa era partita altisonante: basta gas, basta petrolio, l’accordo è vicino. E invece, da una parte frena la Germania, dall’altra l’Ungheria, e le sanzioni che dovevano fermare la guerra di Putin sono al palo. È accettabile?
«È una questione estremamente complessa perché le situazioni dei vari Paesi sono molto differenti. Il punto di vista di chi dice che una sanzione non dovrebbe danneggiare chi la fa più di chi la subisce è comprensibile».
Chi lo sostiene?
«La Germania, l’Austria. Si tratta di un problema etico gigantesco, perché sappiamo bene che il pil della Russia è basato sull’export di energia: alla fine la commissione troverà una via d’uscita, che comunque dovrà essere un compromesso».
Nel frattempo abbiamo aperto con Eni il conto K, in euro e in rubli, per aggirare le sanzioni che ci sono?
«Abbiamo lavorato con assoluta trasparenza. Per l’operatore italiano ed europeo l’operazione finisce quando paga la fattura in euro, la banca russa che li trasforma in rubli non è sanzionata. In più, se le regole cambieranno, le società si adegueranno immediatamente. E c’è sempre l’arbitrato presso il tribunale svedese».
Non cambia molto. Continuiamo a finanziare l’aggressione della Russia all’Ucraina dopo aver promesso che avremmo cercato di fermarla.
«L’Italia sta facendo un’operazione che nessun Paese europeo è riuscito a fare: in poche settimane abbiamo concordato una diversificazione con alcuni Paesi africani. Ci siamo assicurati 25 miliardi di metri cubi di gas che nella seconda metà del 2024 andranno a pieno regime e sostituiranno i 29 miliardi di metri cubi importati dalla Russia. Nel frattempo, proseguiamo sulla rotta della decarbonizzazione tenendo fermo l’obiettivo della riduzione del 55%».
Bastano davvero poco più di due anni?
«Ci sono due variabili importanti: bisogna completare gli stoccaggi di gas adesso, siamo al 47%. Poi bisognerà installare due rigassificatori galleggianti. Stiamo facendo le valutazioni tecniche, Ravenna ha già dato grande disponibilità e stiamo esplorando l’ipotesi di Piombino, la più rapida. Ma ne parliamo con le istituzioni locali».
Se la Russia decidesse di chiudere i rubinetti del gas dall’oggi al domani, cosa accadrebbe al nostro Paese?
«Iniziare il prossimo inverno con un deficit di gas negli stoccaggi sarebbe un problema, ma bisogna tenere a mente che anche la Russia dovrebbe riorganizzare il suo export molto rapidamente».
Draghi aveva chiamato a scegliere tra pace e condizionatori, un sacrificio che nessuno sembra pronto a fare.
«Una parte di sacrificio è giusta in ogni caso. Mai come in questo momento risparmiare energia è fondamentale. Se abbassi la temperatura di un grado durante l’inverno, risparmi due miliardi di metri cubi di gas. Una cosa simile accade regolando meglio l’aria condizionata. I due anni che ci servono per le infrastrutture che spostano la catena del gas servono anche per un’azione sistemica di risparmio. Una transizione troppo rapida creerebbe un problema di forza lavoro: siamo un Paese manifatturiero, non possiamo pensare di chiudere tutto. Allo stesso tempo, andare troppo lentamente creerebbe un disastro ecologico».
Il tetto al prezzo del gas, la proposta italiana, passerà?
«Il nostro team di tecnici ha lavorato con la commissione per svilupparla. Bisogna aver chiara una cosa: se un anno fa pagavamo il gas venti centesimi a metro cubo e oggi lo paghiamo un euro e mezzo non è perché è diminuito. Dipende dalla volatilità del mercato e dalla speculazione ed è inaccettabile. Il prezzo viene fatto alla borsa del gas di Amsterdam e da quello dipende anche il costo dell’elettricità. Quando sale, sale tutto. Se avessimo un price cap europeo, un limite valido per tutti i Paesi, riusciremmo a tenere giù questi prezzi».
L’obiezione è che tutti i fornitori, non solo la Russia, andrebbero a vendere altrove.
«Complicato, visto che l’Europa importa i tre quarti del gas mondiale nelle sue condutture (diversamente dal gas liquido). Gli operatori continuerebbero a guadagnare, limitando il profitto. Che senso ha difendere un libero mercato che mette in ginocchio aziende e cittadini? Può essere una misura transitoria, ma è necessaria. E bisognerebbe anche scollegare il prezzo dell’elettricità da quello del gas».
Nel frattempo l’export del petrolio russo verso l’Italia è quadruplicato dallo scorso febbraio. Com’è possibile?
«La centrale di Priolo che importa quel petrolio è la succursale russa di un’azienda russa. In questo momento l’embargo riguarda solo le navi, non ci sono violazioni e non ci sono margini per intervenire».
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