Cingolani: “Un compromesso su petrolio e gas, Bruxelles non potrà fare di più”
Alcuni ambientalisti la attaccano: non fa abbastanza per emancipare il nostro Paese dal fossile. È così?
«La risposta la danno i numeri. Tra due anni ci mancheranno 29 miliardi di gas russo, noi le sostituiamo con 25 miliardi da altri Paesi. Il resto lo facciamo con le rinnovabili sulle quali abbiamo accelerato con un piano senza precedenti. Poi ci sono le “lobby dei rinnovabilisti” che vogliono vendere e secondo cui non basta nulla: per loro serve il commissariamento e con 6 gigawatt di impianti in tre anni si risolve il problema. Questa narrazione è arrivata anche in certi programmi della tv pubblica, ma è falsa».
Quella vera quale sarebbe?
«Stiamo verificando in questi giorni le richieste di messa in esercizio sulla rete di Terna: ci sono circa 2 gigawatt passati attraverso le nuove aste, 2,3 andati autonomamente sul mercato e altri 2,3 il cui iter approvativo è quasi terminato. Ma quando mai nei primi mesi dell’anno avevamo più di 4 gigawatt pronti ad allacciarsi? Anche qui però bisogna stare attenti alla speculazione: l’energia elettrica rinnovabile, che dovrebbe essere economica, non può essere venduta a un prezzo uguale o superiore a quella prodotta bruciando gas. Bisogna disaccoppiare i prezzi delle rinnovabili da quelli delle termoelettriche: facciamo una borsa del mercato rinnovabile e una del termogas, perché per com’è adesso si fanno profitti mostruosi spendendo poco».
Davvero in un Paese come l’Italia non si può fare di più?
«Facciamo finta che si mettano 60 gigawatt. Non c’è una rete adatta a gestire queste potenze, che non sono distribuite sul territorio. Se si fa il calcolo al costo degli accumuli odierni, servirebbero 10-15 miliardi di euro. Quanto alle centinaia di progetti che, se approvati, risolverebbero tutto producendo 100 gigawatt, è un’altra narrazione distorsiva. Perché quei progetti insistono sulle stesse aree. Quando ne scegli 10, devi buttare gli altri».
Nega ci sia un problema di burocrazia?
«Nient’affatto. Abbiamo accelerato le autorizzazioni del Mite, ma poi la pratica passa al Ministero dei beni culturali, alle sovrintendenze che hanno alte percentuali di bocciature. E ci sono i piani di cui si occupano direttamente le Regioni. In passato la macchina si è inceppata troppo, ma stiamo lavorando per snellirla. A breve metteremo un cruscotto sul sito del ministero, in modo che l’avanzamento sia chiaro a tutti».
Nel frattempo ha ricevuto al ministero molto più spesso le compagnie petrolifere di tutte le altre?
«Chi lo dice parla di 102 incontri da luglio del 2020 a maggio del 2021, peccato che io abbia giurato il 16 febbraio 2021. Per dire la precisione di queste accuse. Nel primo periodo avevo l’agenda trasparente, che dimostra come sia avvenuto il contrario. Poi il Garante della Privacy ci ha costretti a chiuderla, ma stiamo cercando di capire come fare per riaprirla, così non ci saranno più dubbi. Nel merito: all’Eni, la prima volta che ci siamo incontrati, ho detto che non faremo né carbon capture né idrogeno blu. Non sono previste nel Pnrr. Fine della storia».
Ha considerato positiva la decisione di Bruxelles di tenere gas e nucleare nella tassonomia europea. In questi giorni la Germania si è opposta. Non crede che quei tipi di impianti guardino a un passato che non possiamo più permetterci?
«La Germania si è opposta alla fine, sapendo di non sortire effetti. Può piacere o non piacere, ma la tassonomia guarda a quanta anidride carbonica e quanto gas serra produce un sistema energetico. E il nucleare ne produce meno di tutti. Il gas è terzo, dopo carbone e petrolio, e serve perché intere centrali possono passare immediatamente al gas abbattendo l’anidride carbonica del 30-40 per cento. Come fonte transitoria è irrinunciabile».
Sul nucleare, c’è il problema della sicurezza, delle scorie.
«Ci sono 14 Paesi europei che hanno il nucleare. Noi diciamo che non ci piace ideologicamente».
Noi valutiamo i rischi.
«E abbiamo fatto un referendum che lo esclude, quindi questo risolve il problema. Ma io adesso non mi imbarcherei mai nel nucleare di seconda generazione alla francese. Punterei sui nuovi reattori modulari che non fanno scorie e non utilizzano sistemi come l’uranio».
Le scorie le fanno.
«In quantità infinitesimale. Ma soprattutto non usano uranio arricchito. Sono simili ai motori dei rompighiaccio sulle banchine artiche, una tecnologia che c’è già e che funziona. Ma è chiaro che in futuro bisogna arrivare alla fusione».
Si dice da quarant’anni.
«Non ci si è mai investito seriamente. Sono ottimista che se lo facessimo, i risultati arriverebbero. Abbiamo fatto un vaccino in 18 mesi, possiamo arrivare alla fusione nucleare in 18 anni».
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