Il rublo forte è una trappola. Guerra più cara per Putin
Giorgio Arfaras
Giudicare l’economia russa è già difficile in tempi normali, figurarsi con la crisi in corso. Il Pil russo non è diverso da quello italiano, pur avendo la Russia una popolazione oltre due volte maggiore. Si può correggere il Pil russo per tener conto della volatilità dei cambi – si ha un Pil basso con il rublo debole e un Pil alto con il rublo forte – e del livello inferiore dei prezzi del suo settore dei servizi. Anche facendo così, l’economia russa, soprattutto se misurata pro capite, resta modesta.
Come si è visto in seguito all’invasione dell’Ucraina, la Russia, a fronte di un’economia, come misurata dal Pil, modesta, ha un gran punto di forza e uno di debolezza. Punti che ne alterano il peso nell’arena mondiale. Quello di forza è il gran peso delle esportazioni russe di energie non rinnovabili verso l’Europa. Il punto di debolezza è la ricchezza che i russi hanno depositato nei paesi occidentali. Nel primo caso si vede come sia difficile per l’Europa emanciparsi dall’energia russa. Nel secondo si vede quanto sia vulnerabile, perché congelabile, la ricchezza dei russi stipata all’estero.
La conoscenza di quel che succede all’economia russa si articola su tre livelli. Quello delle dichiarazioni degli esponenti del Cremlino, che non possono che asserire che nulla di drammatico è accaduto. Quello delle dichiarazioni degli organismi tecnici russi, come la Banca Centrale e dei vari ministeri, che asseriscono il contrario, che il paese è messo molto male, soprattutto in prospettiva. Quello degli organismi internazionali, come il Fondo Monetario, che asseriscono le stesse cose degli organismi tecnici russi.
Abbiamo però un quarto livello, non meno importante. Il sistema mediatico italiano: i programmi televisivi di dibattito fra personaggi ad alto impatto e gli scambi di opinioni privati in rete. Dove si racconta la Russia denunciando la faziosità del punto di vista maggioritario, quello che difende, senza se e senza ma, l’Ucraina e le sanzioni, non appena qualcosa va nella direzione di una Russia “resiliente”.
Il cambio del rublo è fra i maggiori protagonisti dei giudizi economici di chi è scettico sulle ragioni dell’Occidente. Il rublo dopo essere caduto – da 80 a 150 rubli per dollaro – nei giorni successivi all’invasione dell’Ucraina si è ripreso – fino a 60 rubli per dollaro, quindi oltre il livello precedente l’invasione. Molti hanno visto in questo ritorno un punto di forza russo e di debolezza delle sanzioni.
Invece, sono successe due cose. La Russia ha esportato di più – come valore, perché i prezzi delle materie prime sono saliti, mentre le quantità vendute non sono variate – e quindi la sua bilancia commerciale è decisamente migliorata. La Russia ha incassato così più valuta pregiata, che è stata cambiata d’autorità quasi tutta in rubli. Ossia, i russi non possono detenere tutta la valuta che hanno incassato dall’estero. Inoltre, i russi, quelli che non incassano valuta dalle esportazioni, non hanno potuto vendere i loro rubli per comprare dollari e euro. Dunque il rublo è salito perché il mercato dei cambi è diventato unidirezionale a favore del rublo. In breve, la forza del rublo è fittizia.
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