Strappo del Leone rischi per il Paese

Giuseppe Bottero

Il termometro è la Borsa. E Piazza Affari ha accolto male l’annuncio di Francesco Gaetano Caltagirone: il primo socio privato, l’imprenditore che ha sfidato Mediobanca e il board uscente nella più importante battaglia finanziaria degli ultimi anni, lascia il consiglio di amministrazione delle Generali. Non è un disimpegno da Trieste, assicura chi gli sta vicino, e nemmeno una mossa che sposta l’obiettivo verso una avventurosa scalata a Piazzetta Cuccia assieme a Leonardo Del Vecchio, il fondatore di Luxottica con cui ha marciato nella durissima contesa sul Leone a colpi di acquisti di azioni ed esposti legali. Anzi, c’è chi lo legge come un segnale per trattare la pace. Eppure il titolo del gruppo delle assicurazioni va giù, perde quasi il 2 per cento e non è un buon segno. Perché il mercato è convinto: all’interno del colosso delle polizze, che ha un attivo patrimoniale pari a un terzo del Prodotto interno lordo italiano, continueranno le fibrillazioni. Mesi fa il Financial Times aveva definito la campagna di Trieste «un test per il capitalismo italiano». E l’esito dell’assise sembrava aver chiarito la traiettoria. I grandi fondi internazionali con il consiglio e Piazzetta Cuccia, i soci industriali – a partire dalla famiglia Benetton – con Caltagirone e Del Vecchio, “self made man” e alfieri di una certa visione del Paese, che tra Trieste e Milano hanno investito 10 miliardi: chi pesa di più comanda e ha tutto il diritto di decidere le mosse dell’azienda. Ha vinto il mercato, con la conferma dell’amministratore delegato Philippe Donnet ma la calma è durata un attimo. E la «maturità del capitalismo» è tornata a essere un tema chiave.

Le Generali di oggi sono spaccate, quasi a metà: rispetto all’assemblea, il primo azionista Mediobanca ha restituito il 4 per cento dei titoli presi in prestito e De Agostini, che l’ha sostenuta, ha praticamente azzerato la sua quota. Dai primi fuochi dello scorso anno, quando Caltagirone ha sfidato Alberto Nagel non presentando le azioni in assemblea, sembra passata un’era geologica: non c’era la guerra, e i prezzi parevano sotto controllo. Adesso la situazione macro-economica è delicatissima, l’inflazione vola oltre il 6% e con lo spread che avanza e i tassi destinati a salire i 70 miliardi di titoli di Stato detenuti da Trieste scottano un po’ di più. Chi invocava una tregua per ora è rimasto deluso, chi sperava che le tensioni non frenassero un cambio di passo, anche. La partita dei comitati endoconsiliari, quasi un dettaglio a livello di governance, non è ancora stata chiusa e dopo tre riunioni del cda è riesploso uno scontro deflagrato ieri.

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