Mosca vede la svolta: “Liberato il Donbass l’Ucraina crollerà”
dal nostro corrispondente Enrico Franceschini
LONDRA – “Tutti gli obiettivi saranno realizzati”, ha detto questa settimana Sergej Shoigu, ministro della Difesa russo. Ma quali siano questi obiettivi non è chiaro. Nella prima fase della guerra, Vladimir Putin aveva parlato di “demilitarizzare e denazificare l’Ucraina”: poiché in passato il capo del Cremlino ha affermato che “l’Ucraina non esiste, ha sempre fatto parte della Russia”, le sue parole sono state intese come l’intenzione di abbattere il governo del presidente Volodymyr Zelensky, conquistare l’intero Paese e annetterlo. Alle parole sono seguiti i fatti, perché l’invasione è cominciata il 24 febbraio con un massiccio attacco contro la capitale Kiev e svariati tentativi di assassinare il presidente ucraino. Dopo che l’attacco è stato respinto, tuttavia, a inizio aprile lo stato maggiore russo ha reso noto che il “vero obiettivo è liberare il Donbass”, la regione abitata in prevalenza da ucraini di lingua e origine russa già parzialmente occupata da forze fedeli a Mosca dal 2014. Ed è sul Donbass che infuria la grande offensiva ora in corso, con graduali progressi per Mosca dopo settimane di intensi bombardamenti. Il dubbio è cosa voglia davvero Putin e come la situazione sul terreno può condizionare lui e la sua cerchia ristretta. Pur essendo un’autocrazia, anche all’interno dello Stato russo esiste un dibattito tra “falchi” e “colombe”: del resto esisteva perfino tra i membri del Politbjuro sovietico, anche se Putin ha accentrato il potere nelle proprie mani perfino più di Breznev. Le indiscrezioni e gli analisti individuano due correnti di pensiero. I falchi sono tradizionalmente i militari: il ministro della Difesa Shoigu, il capo di stato maggiore Valerij Gerasimov, i loro generali. Le colombe sono il ministro degli Esteri Sergej Lavrov e i suoi collaboratori. L’intelligence, che stava nel mezzo, è stata screditata da Putin, che ha scaricato sullo spionaggio civile le sconfitte nella prima fase della guerra, tanto da affidare l’Ucraina al Gru, lo spionaggio militare. La corrente dei duri vorrebbe conquistare tutto il Donbass e poi riprendere l’offensiva nel resto dell’Ucraina: i missili di due giorni fa su Kharkiv, seconda maggiore città ucraina, da dove le truppe russe si erano ritirate, sono un segnale. “Siamo a una svolta”, afferma Voenny Osvedomitel, canale pro-Putin con mezzo milione di abbonati, “dopo avere perso il Donbass l’esercito ucraino crollerà”. Le colombe mirano a dichiarare vittoria dopo avere preso tutto o quasi tutto il Donbass, compreso il corridoio fino alla Crimea lungo il mare di Azov dove sorge la martoriata città portuale di Mariupol, e concludere così “l’operazione militare speciale”, come il Cremlino chiama la guerra. La cattura del Battaglione Azov, accusato da Mosca di essere un nido di neonazisti, può dare a Putin lo spunto per proclamare che l’Ucraina è stata “denazificata”. E c’è anche chi chiede di mettere fine alla guerra subito, come Leonid Vasyukevich, un deputato comunista della Siberia: “Dobbiamo fermare l’azione militare e ritirarci o subiremo perdite ancora peggiori”. Su questi differenti obiettivi influiscono tre fattori.
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