Illusioni e false promesse su tasse e concorrenza
Una diffusa ipocrisia nazionale si è esercitata di recente sulle concessioni balneari, su un presunto taglio generalizzato delle aliquote fiscali e sul Servizio sanitario nazionale
G li anni del denaro facile stanno finendo. Ma noi facciamo finta di non accorgercene. Se la maggioranza è così litigiosa pur avendo a disposizione risorse un tempo inimmaginabili, dobbiamo chiederci che cosa accadrebbe — a quale livello di rissa si arriverebbe — se anziché spendere e investire, si dovesse risparmiare e tagliare. È accaduto anni fa, rischia di succedere ancora. L’inflazione erode i risparmi. Il potere d’acquisto si indebolisce. Se si promette agli italiani che lo Stato possa porvi totale rimedio, si finisce solo per ingannarli. L’inflazione è una tassa occulta e regressiva (colpisce i più deboli). La cosa curiosa è che ce la siamo, almeno in parte, autoprodotta con l’infernale meccanismo del 110 per cento (33 miliardi per mettere a posto l’1 per cento del patrimonio abitativo). Senza conflitto d’interesse tra cliente e fornitore (tanto paga un terzo, il contribuente) i prezzi semplicemente esplodono. Lo spaccio di promesse azzardate diffonde l’illusione di un salvagente pubblico universale contro l’inflazione che disabitua famiglie e imprese a calcolarne, nel medio periodo, gli effetti composti.
I vincoli di bilancio europei sono stati giustamente sospesi anche per il 2022 ma la crescita del costo del denaro e il progressivo disimpegno negli acquisti della Banca centrale europea, creeranno una situazione di relativa debolezza del nostro debito. Questo nonostante la durata media, superiore ai sette anni, sia una forte garanzia di stabilità. Ma non eterna. La tendenza è questa. Ed è forse opportuno che un governo guidato dall’ex governatore della Banca d’Italia e dall’ex presidente della Bce, svolga una preziosa opera di pedagogia economica, spiegando i rischi cui probabilmente andremo incontro. Certo, li correremo quando ci sarà un altro esecutivo, dopo una campagna elettorale che si annuncia generosa di promesse, oltre che avara di verità scomode. Ma i tecnici non devono essere eletti. Ed è un fatto di onestà repubblicana che la gente conosca anche i pericoli, li valuti. Le famiglie italiane sono finanziariamente più prudenti di quelle di Paesi cosiddetti frugali; le comunità si dimostrano avvertite, responsabili, solidali. Non è detto che un discorso sincero e realistico non debba suscitare consenso e dunque voti. Famiglie, imprese e comunità sanno che per distribuire bisogna prima produrre. Prima, non dopo. Questa semplice constatazione è sepolta in un’affannosa rincorsa corporativa. Nell’idea perversa che lo Stato possa e debba fare tutto. E che si tratti solo di attendere, di riscuotere un diritto ormai svincolato da qualsiasi dovere.
Sono tre i tavoli sui quali si è esercitata negli ultimi tempi una diffusa ipocrisia nazionale. Il primo è il più recente e riguarda le concessioni balneari. Assolutamente curioso che l’attenzione sia stata concentrata solo sui risarcimenti. Con una corsa di alcune forze politiche ad intestarseli. Rarissime e coraggiose le voci contrarie. Un po’ più di concorrenza fa bene a tutti. Anche ai gestori che possono sfruttare economie di scala. Nel vissuto popolare sembra che l’Italia sia costretta alle gare e che se dipendesse da noi lasceremmo perdere. Ma allora perché farle in tante altre attività? Siccome il demanio è di tutti, ne consegue che siamo totalmente disinteressati al riconoscimento, pur con tutte le tutele per i soggetti interessati, di un canone di mercato. Più che generosi, irresponsabili.
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