Europa e Italia tra Habermas e la barca dell’oligarca

MASSIMO GIANNINI

A pochi giorni da una disastrosa miccia referendaria che lui stesso ha voluto e ora non sa disinnescare, a pochi mesi da una rischiosa sfida politica che sancirà la sua perduta egemonia sulla destra, Salvini insegue ogni refolo di vento elettorale. Gli italiani sono stanchi di guerra? E lui veste il saio di Francesco e va a portare la croce in Russia e in Ucraina. Mariupol o Metropol per lui pari sono. Purché fruttino una manciata di voti.

Ma è fin troppo facile prendersela con Salvini. Dopo l’informativa del premier in Parlamento, oltre alla boutade sull’Expo 2030 da far svolgere a Odessa, se ne sono dette e sentite di tutti i colori. E non solo dai leghisti, ma anche dai pentastellati. È l’intero panorama partitico del Paese, immerso nel flusso della propaganda permanente, che mette tristezza. Ogni atto politico nasce e finisce nel gorgo della contesa elettorale. A fare il paio con il “viaggio della speranza” del novello Don Matteo della Lega, c’è anche il misterioso “piano di pace segreto in quattro punti” depositato dal ministro degli Esteri sul tavolo del segretario generale dell’Onu. Intenzione lodevole, ma un altro gesto estemporaneo e improvvisato. Non ha colto di sorpresa solo la solita premiata ditta del Cremlino Peskov&Sacharova, che per contratto devono bocciare tutto. Ma anche i partner Usa e Ue, che per contratto devono sapere tutto. Spariamo proiettili d’argento, nel buio dell’emergenza bellica e ad uso puramente interno. Esorcizzano la paura, senza alimentare la speranza. Non servono ad aprire spiragli veri al negoziato tra i belligeranti, ma a blandire un’opinione pubblica angosciata dalla guerra, che costa centinaia di migliaia di morti e già pesa per mille euro sui bilanci delle famiglie. Draghi fa quel che può, e con il suo prestigio internazionale copre miserie e mediocrità della nazione. Ingoia vecchi rospi e nuovi compromessi (come la legge sulla concorrenza e i balneari, sulla quale abbiamo solo comprato altro tempo). Ma è il prezzo da pagare, per blindare una premiership comunque credibile, almeno fino alle elezioni del 2023.

Per il resto, tra i partiti non si scorge un orizzonte lontano da costruire e condividere. A meno di non voler considerare tale l’idea futuribile ma implausibile di far governare insieme la sinistra riformista e la destra estremista. Un patto tra Partito democratico e Fratelli d’Italia, che corrono da soli all’uninominale in nome della responsabilità nazionale, non è solo contro natura (per quanto piaccia ai “terzisti” alle vongole di casa nostra, le differenze tra destra e sinistra sono sempre più marcate). È anche contro logica rispetto al sistema elettorale vigente (per quanto si scommetta sulle rispettive “vocazioni maggioritarie”, le alleanze spurie nei collegi rischiano di costare caro a chi non si coalizza). E per quanto Letta e Meloni siano litigiosamente simpatici come Sandra&Raimondo, la politica non è una scoppiettante sit-com degli Anni Settanta. Rimane “sangue e merda”, persino più di quanto non lo fosse ai tempi di Rino Formica.

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