Europa e Italia tra Habermas e la barca dell’oligarca

Gli altri Paesi d’Europa non se la passano poi tanto meglio. Capiremo domani quanto filo da tessere avranno Macron e Scholz, nel portare avanti la trattativa con Putin che Draghi ha tentato di avviare sulla riapertura dei porti, senza la quale sarà carestia per 50 milioni di africani affamati e dimenticati da tutti. E soprattutto sapremo se il Consiglio Ue avrà la forza di rompere il blocco dei Paesi di Visegrad guidati da Viktor Orban, e di varare il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia. A partire dall’embargo sul petrolio, che resta un tabù per un’Unione paralizzata dai veti incrociati e dai voti all’unanimità. Forse il cinico Ghino di Tacco di Budapest incasserà l’esclusione dal blocco del suo prezioso “Nefteprovod Druzhba”, l’Oleodotto dell’Amicizia che trasporta 1,4 milioni di barili al giorno di oro nero russo da Siberia, Urali, Mar Caspio, e lungo i 4 mila chilometri di percorso lo distribuisce nelle raffinerie ceche e polacche. Ma avanti di questo passo, finiremo per riaprire anche i cantieri del “North Stream 2”, 1.200 chilometri di percorso e 55 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno, voluto dalla Germania e bloccato dopo l’invasione russa in Ucraina. Sarebbe la resa finale di un’Europa irrisolta. Schiacciata tra la schiavitù energetica imposta da Mosca e la subalternità strategica pretesa da Washington.

Oggi l’Occidente sembra compatto, dietro le insegne di una Nato risorta dalle ceneri che giustamente e platealmente Macron sparse al vento nel novembre 2019, quando definì l’Alleanza “in stato di morte cerebrale”. Ma la domanda cruciale la pone Adam Tooze, direttore dell’European Institute alla Columbia University, sul “New Statement”: siamo sicuri che dallo scontro geo-strategico in atto verrà la risposta definitiva ai problemi della sicurezza dell’Europa? È chiaro che fin quando l’attenzione rimane concentrata sul conflitto di valori tra democrazie e dittature «si può costruire una grande narrazione in cui il mondo libero è schierato contro l’autoritarismo cinese e russo». Ma quanto può reggere questo “storytelling”? Tooze cita solo tre mucche nel corridoio, una più gigantesca dell’altra. La prima è la Russia: se incattivito dentro una guerra senza fine contro l’Ucraina armata dai Paesi atlantici e trasformata in un altro Afghanistan, il rischio è quello indicato da Avril Haines, direttrice dell’Intelligence Usa al Senato, e cioè che Putin possa «muoversi con una traiettoria imprevedibile che potrebbe portare a un’escalation militare». Chi ne pagherebbe le conseguenze dirette, se non l’Europa senza un esercito? La seconda è l’America: oggi Biden è una garanzia, ma dal prossimo novembre il Congresso potrebbe tornare nelle mani dei Repubblicani, e alle presidenziali del 2024 potrebbe riprendersi la Casa Bianca persino il vecchio Trump, fresco di una macabra ricandidatura benedetta dalla lobby delle armi, a cadaveri ancora caldi dei poveri bimbi massacrati a Uvalde. Che alleato sarebbe, il truce The Donald, per l’Europa senza un “foedus”? La terza è la battaglia America-Cina sul dominio economico del mondo: se l’obiettivo è contenere le autocrazie, anche gli affari con Pechino dovranno subire contraccolpi, mentre il ceo di Volkswagen Herbert Diess già ora ricorda che «se dovessimo limitare le nostre relazioni commerciali alle democrazie consolidate, che rappresentano il 7-9% della popolazione mondiale, il business dei produttori di automobili non sarebbe più sostenibile». Chi avrebbe più da perdere, da una rottura definitiva della corporate globale “Chinamerica”, se non l’Europa senza un’industria?

Viene il ragionevole dubbio che abbia qualche ragione Jurgen Habermas, quando chiede all’Europa di lavorare al rafforzamento della Nato, ma di mantenere la sua “mentalità post-eroica” anche nella guerra ucraina e soprattutto la sua distanza dalla “cultura strategica-militarizzata degli Stati Uniti”. Ma che importa discuterne con un po’ di sguardo lungo e testa fredda, a noi festosi checchizalone, saliti sulla barca dell’oligarca per il nostro eterno apericena elettorale?

LA STAMPA

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