Mariupol, quei corpi nel supermercato sono la morte della civiltà
Domenico Quirico
I supermercati raccolgono sotto il loro tetto molte persone come un tempo facevano solo le chiese. Occupano, se volete, il centro della vita collettiva contemporanea. Per secoli la chiesa ha occupato questo posto. Non a caso li si definisce i templi del consumo. Sarà per questo che i russi, come ha denunciato Petro Andriushenko, consigliere del sindaco di Mariupol, hanno gettato i cadaveri degli ucraini raccolti in città o esumati dalle tombe improvvisate in un supermercato abbandonato e semidistrutto. Ci crocifigge una immagine: corpi in decomposizione ammucchiati come un pavimento in mezzo agli scaffali devastati e vuoti, alle casse desolate, alle immondizie delle cose saccheggiate.
In questa guerra abbiamo visto una quantità di scene orribili, stragi con i missili, e civili eliminati frettolosamente per strada come inciampi umani. La guerra in sé come crimine. Ogni guerra non inventa il mistero del male, ne rende ogni volta il suo linguaggio più lancinante. Ma la barbarie sui cadaveri mina le condizioni stesse della esistenza umana. La civiltà, ciò che siamo, corre lungo una cresta esigua di cui uno dei versanti è proprio una uscita come questa fuori dalla umanità.
Il culto dei morti, il rispetto dei morti è un segno di umanità, dice un luogo comune filosofico. La tomba è un punto di partenza della umanità. Tutto in fondo inizia dalla fine. La morte e il suo culto rendono immortali. La morte, se rispettata, coperta degnamente, celebrata anche con il più umile ritorno alla terra, rende immortali. Oggi, nel terzo millennio, assistiamo con angoscia alla profanazione della morte, celebrata in un osceno funerale al contrario, in un rito blasfemo, sui cadaveri di Mariupol, atrocemente abbandonati, in vista, in un supermercato come se fossero merce guasta di cui non si sa cosa fare perché la guerra, vincere è una occupazione più importate. Non è purtroppo una eccezione. Intravedo la stessa empietà disinvolta in altre terribili storie, come l’assalto alla bara durante il funerale della giornalista uccisa in Palestina.
La negazione della tomba significa negare che ciò che si trova nel seno della terra, sotto un tumulo, una semplice lastra di pietra o al centro della fastosa piramide di un re, sia degno di rimanere. Anche se a poco a poco non ne resteranno che ossa e cenere e polvere. Una dignità è concessa anche ai resti materiali dal momento che non sono cose, scarti, ma resti umani. Il rifiuto dell’autocrate Creonte di concedere questa distinzione a uno dei suoi fratelli è la ragione della rivolta politica di Antigone. Nella Città una certezza deve accomunare tutti, obbedienti e ribelli, la mancanza di rispetto per i resti dei mortali porta direttamente allo stato di natura, spalanca al Male le porte per l’invasione del mondo.
In questi oltre novanta giorni dall’aggressione russa, talora anche con fatica, ho evitato di usare parole come genocidio, olocausto e sono convinto che coloro che l’hanno fatto hanno sbagliato. Ma di fronte alla umiliazione dei morti, allo sfregio dei cadaveri uso per coloro che lo hanno compiuto questo sacrilegio, che hanno portato quei poveri resti nel supermercato e li hanno gettati lì, non la parola uomini ma contro uomini. Il silenzio dei morti ci appartiene come le grida d’aiuto delle vittime squartate dalle guerre e dei profughi, in quel silenzio riconosciamo la nostra voce.
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