La solitudine di Salvini
Francesco Olivo
Le critiche se le aspettava. Tutti quei silenzi forse no. E allora il viaggio a Mosca viene congelato, in attesa che qualcuno ne capisca il senso. Matteo Salvini è a Roma e tutti gli indizi portano a credere che fosse ieri la data prevista per la spedizione spericolata in Russia, uno in particolare saltava agli occhi già nei giorni scorsi: il solitamente iperattivo segretario della Lega, nella penultima domenica prima delle elezioni amministrative e dei referendum sulla giustizia, non aveva in agenda alcun appuntamento, e così nemmeno per oggi. Solo un tweet in tarda serata, per ringraziare i militanti nei gazebo per la campagna referendaria. Tutto era pronto per partire, insomma. Ma sull’aereo per la Turchia e poi su quello diretto a Mosca, il segretario della Lega non c’era.
Dietro alla missione, che prevedeva forse anche una sosta “politica” ad Ankara, c’è l’idea che la diplomazia non stia facendo il suo mestiere fino in fondo e che quindi serve uno scossone con un piano da consegnare al governo russo, «sono gli aggressori che vanno convinti», è il discorso che Salvini ha ripetuto per difendersi dalle accuse di filo putinismo. L’idea di Salvini, poi, era di arrivare in Russia con una sorta di benedizione, sebbene ovviamente non formale, della Santa Sede. In questo senso andava inquadrata l’udienza ottenuta venerdì scorso con monsignor Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, a ridosso quindi della trasferta moscovita. Anche in questo campo però sono arrivati segnali negativi per Salvini, basti ascoltare le parole del neo presidente dei vescovi italiani, Matteo Zuppi: «Credo che il più possibile bisogna accordarsi nelle iniziative, perché altrimenti rischiano di essere retoriche, rischiano di essere fatte solo per far vedere che si fa qualcosa, cosa che non è molto intelligente. L’unione di tanti sforzi, soprattutto a livello europeo e non solo, credo che sia l’indicazione indispensabile».
Uno degli aspetti più inquietanti per Matteo Salvini non sono le accuse degli avversari politici e i mugugni degli alleati, quanto piuttosto che nel suo partito nessuno si sia preso lo scrupolo di mandare due righe alle agenzie per mostrare sostegno al segretario. Un gesto di ordinaria amministrazione dentro ai partiti, specie quando il leader è sotto attacco da più fronti (da dentro la maggioranza e da dentro il governo), stavolta però nessuno lo ha fatto. Segno di isolamento, anche dentro a un partito che fino a oggi non ha mai davvero messo in discussione la leadership ma che ora si trova davanti a un dilemma: fino a quando seguire le mosse del segretario. Uno dei problemi peraltro, sottolineano le poche voci disposte a parlare, in forma discreta, è che queste mosse non vengono condivise, nemmeno con i vertici del partito, con i responsabili dei vari settori, a cominciare da quello degli Esteri, Lorenzo Fontana, né con i ministri, che, Giancarlo Giorgetti in testa, preferiscono evitare commenti.
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