Salvini a Mosca, in campo il Copasir. Draghi cauto per difendere il governo
Se c’è irritazione al Vaticano, a Palazzo Chigi c’è sconcerto, coperto da una buona dose di cautela e realismo politico. Il premier, come ha detto Giorgetti, ne ha «le scatole piene» di cercare la sintesi tra i partiti. L’aggressione della Russia all’Ucraina ha innescato una crisi senza precedenti dai tempi delle Torri Gemelle e della guerra in Iraq, eppure il premier può contare sull’atlantismo incondizionato di Letta, ma non sulla sintonia con Conte, Berlusconi e Salvini: tre leader non certo schierati dalla parte di Kiev.
Fonti di governo partono da qui per spiegare perché a Palazzo Chigi si sia scelto di non reagire, pur sapendo che visti, bagagli e biglietti aerei erano pronti. Per quanto l’iniziativa di Salvini possa essere ritenuta grave e inopportuna, Draghi non lo ha ancora convocato per un chiarimento. «Con la guerra che infuria e i soldi del Pnrr da prendere, la priorità del premier è tenere in piedi il governo e saldo un Paese fragile come l’Italia — è la lettura di un ministro «draghiano» —. E la Lega, quando si è votato sulla politica estera, ha mostrato totale adesione alla linea del premier». In un momento meno delicato e con una maggioranza più stabile, insomma, la reazione sarebbe stata diversa. Ma adesso quel che più conta per Draghi, impegnato in una difficile mediazione tra Mosca e Kiev, è che il governo non finisca azzoppato. La mina è già stata piazzata: il 21 giugno, prima del Consiglio Ue del 23 e in vista del G7 e del vertice Nato, la risoluzione parlamentare sarà una conta ad alto rischio. Il M5S di Conte non vuole più inviare armi all’Ucraina e cerca la sponda della Lega. E il bersaglio è Mario Draghi.
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